I tatuaggi su carta velina
I tatuaggi venivano riprodotti utilizzando anche la carta velina, supporto presente in numerosi esemplari perché finalizzato a diversi fasi del metodo di lavoro di Lombroso.
In primo luogo, le veline servivano per calcare i tatuaggi direttamente sul corpo dei detenuti, come le otto che riproducono dieci tatuaggi di Giovanni Giorgi, morto nel carcere di Pisa a 65 anni per arteriosclerosi, condannato più volte per furto. Lombroso ricevette le veline dall’anatomista pisano Guglielmo Romiti (1850-1936), accompagnate da brevi didascalie esplicative della posizione dei tatuaggi.
Dopo aver copiato il tatuaggio direttamente dalla zona epidermica d’interesse sulla velina, probabilmente utilizzando una matita, l’autore li ha poi ricalcati sullo stesso supporto con l’inchiostro, acquarellando in rosso alcune campiture che, anche nell’originale, dovevano essere colorate.
In generale, però, le veline funzionavano da medium per un ulteriore passaggio: per trasportare, cioè, il disegno del tatuaggio su fogli di carta di grandi dimensioni. Nel fondo museale sono conservate infatti diverse veline sovrapponibili a disegni riportati anche su cartelloni di grandi dimensioni, che riproducevano o una sezione o il corpo del tatuato nella sua interezza.
Torino, Archivio del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino
Riproduzione di due tatuaggi del pisano Giovanni Giorgi, su carta velina e a matita, inchiostro e acquarello rosso, inviate dall’anatomista Guglielmo Romiti a Cesare Lombroso.