Venezia, il Campanile di San Marco
Archivi fotografici ICCD, Fondo del Vecchio Coen
Fotografo non identificato, Venezia - Piazza San Marco, 1926, stampa fotomeccanica/ cartolina postale, DVC001378.
dal Catalogo
Le testimonianze dell’anno di costruzione del campanile di San Marco non sono del tutto concordi, è prudente quindi affermare che i primi fondamenti risalgono agli albori del X secolo, sotto il doge Pietro Tribuno (888-912).
Secondo i cronisti più accreditati dell’epoca, i lavori continuarono per parecchi anni, tant’è che “la parte torreggiante emerse dal suolo sotto il doge Piero Partecipazio (939-942), e soltanto durante il dogato di Tribuno Menio (979-991) ebbe il suo primo compimento la torre”.
Il monumento svolgeva il compito di torre di vedetta, grandeggiava sulle isole e divenne l’anima e la voce di Venezia, diventando protagonista di numerosi episodi e vicende che ne minarono l’integrità e la stabilità.
Nel 976 il primo incendio, acceso durante la rivolta contro il Doge Pietro Candiano IV, distrusse in parte la Basilica e il Palazzo ducale, che vennero riedificati da Pietro Orseolo I (976-978) e da Pietro Orseolo II (991-1003).
Nel 1063 Doge Domenico Contarini ampliò la Basilica, e Domenico Selvo la rivestì di mosaici nel 1071. Sotto la ducea di Domenico Morosini (1148-1136 ), la massiccia torre romanica venne condotta all'altezza di circa sessanta metri con l’aggiunta della cella campanaria sotto Vitale Michieli II ( 1156-1173).
Il 7 giugno 1388 un fulmine ne danneggiò la cima, ma fu presto ricostruita.
Nel 1403, durante le celebrazioni per la vittoria sulla rivale Genova, un nuovo incendio danneggiò la torre, che venne restaurata solo nel 1406.
Sul finire del XV secolo un ulteriore incendio, causato da una saetta, inghiottì parte della torre.
Dopo il terremoto del 1511, il Senato affidò a Maestro Bon, proto dei Procuratori di San Marco, il progetto di restauro della torre.
Le mura vennero rafforzate e vennero aggiunti la cella delle campane, l'attico e il pinnacolo. La cuspide dorata fu coronata dalla figura dell'Arcangelo Gabriele in rame dorato, facendo raggiungere al parón de casa, appellativo attribuitogli dal popolo veneziano, più di novantotto metri di altezza
Un ultimo terribile incidente colpì la struttura il 23 aprile 1745. L'angolo del Campanile che guarda l'Orologio fu per metà squarciato da un fulmine. La totale rovina della torre fu impedita solo dalla rapidità dei ripari, con importanti lavori di puntellatura, di rifacimento e di restauro.
L’imponente struttura diventò parte integrante dello spirito e del cuore di Venezia e del suo popolo.
Nella sua storia servì da vedetta, da torre campanaria, da punto di avvistamento per i frequenti incendi in città e anche da punto di riferimento per la vita quotidiana, dato che scandiva il passare del tempo e riuniva sotto di sé le principali attività commerciali e amministrative della città. Era considerato come un albero di maestra, un “millenario testimone delle vicende, delle glorie, delle aspirazioni cittadine”.
Arrivò la mattina del 7 luglio 1902, e il Cavalier Domenico Rupolo, architetto disegnatore dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti, stava soprintendendo dei lavori vicino al campanile quando notò una fessura alquanto allarmante. Purtroppo, i suoi colleghi e superiori non reputarono la presenza della discontinuità sulle mura del campanile un pericolo imminente.
Giorno dopo giorno la situazione si aggravò e la fessura iniziò a propagarsi in verticale sul lato nord del campanile, “una ferita tanto profonda da poter scorgerci il cielo attraverso”.
La Commissione istituita ad hoc, formata dagli Ingegneri Federico Berchet, Pietro Saccardo e Alberto Torri pensò ad una soluzione temporanea: “allacciare” l’angolo del campanile al resto della struttura con funi d’acciaio. L’intervento, purtroppo, non venne mai realizzato.
La mattina del 14 luglio alle 05:30 di mattina, D. Rupolo notò ulteriori peggioramenti e prese coscienza dell’inevitabile sorte della torre campanaria. Dopo un breve sopralluogo si ordinò a gran voce lo sgombero della piazza e la chiusura dei negozi. L’orario effettivo del crollo oscilla tra le 09:47 e le 09:53.
Le testimonianze dei presenti descrivono l’accaduto come se fosse successo a rallentatore: “pietra sopra pietra, come sedesse su se stesso, lentamente, dolcemente” e “il colosso che si accascia su se stesso, cede, insaccandosi, originando una pioggia di polvere che rende l’aria irrespirabile”.
Il fatto venne percepito come un drammatico evento capace di sconvolgere l’area marciana ma, contemporaneamente, come un miracolo.
Il crollo del campanile non causò vittime e non intaccò minimamente gli edifici vicini. Il Gazzettino di Venezia riporta:
“ … senza arrecare offesa nel suo travolgimento, arrestando l’onda mostruosa del suo crollo al soglio della Chiesa, limitando il dilagare delle sue membra rovinanti presso alla porta divina, in atto prodigioso di reverente riservo e di suprema aspirazione. L’angelo d’oro giacque davanti alla porta massima della basilica con le ali spezzate nell’anelito di quell’ultimo volo.
È prodigioso che la dove poteva succedere una spaventosa ecatombe, dove il sangue poteva scorrere a torrenti, non una sola vittima si abbia a lamentare, non una sola goccia di sangue”.
Fin dai primi istanti in cui i Veneziani aprirono le finestre delle proprie case, non riuscendo a scorgere “l’eccelsa vedetta”, si sentirono spaesati, vuoti.
Molti raffrontarono il crollo del campanile alla morte di una persona cara. Come durante un funerale alcuni famigliari ricordano la vita del defunto e le sue gesta, così alcuni scrittori dedicarono al campanile i loro pensieri. Ne sono un esempio la scrittrice italiana Maria Pezzè-Pascolato o il poeta tedesco Herman Hesse, la cui poesia recita:
“Stretta dalla polvere, dalle urla della gente intimidita,
circondata dal frullare incerto di mille zampette di piccione,
si piega e va a riposo la vecchia torre.
La gente osserva stupita, piange l’edificio, s’aggira angosciata tra le rovine.
Un profondo orrore affligge ogni cuore;
la folla piange il gigante caduto come un caro estinto.
Colui che con vigore narrava di grandi giorni,
adesso è nella polvere.”
La sera stessa del crollo, il 14 luglio 1902, si riunì il Consiglio Comunale e in poche ore, senza alcun dubbio o dissenso, venne approvata la rinascita del Campanile di San Marco.
Fu un atto di ferma volontà collettiva e la voce nata dal profondo sentimento comune si esprimeva in favore della formula che ricollocava idealmente la torre al suo posto secolare e le restituiva le care, domestiche sembianze: com'era, dov'era.
Come il tempo rimargina le ferite fisiche e i dolori morali, così si volle colmare, la grande lacerazione storica e artistica che la città di Venezia aveva subito.
L’intento dell’allora sindaco Filippo Grimani e dell’architetto Giacomo Boni, era quella di riprodurre esattamente lo schema architettonico medioevale della torre per consentire alle generazioni future di poter ammirare lo storico compagno della città.
Il primo cittadino, in una dichiarazione in merito alla ricostruzione affermò:
“ [Le generazioni future] non conosceranno che un'immagine sola. Quella che a noi il 14 luglio 1902 parve la morte, non sarà stata che l'interruzione d'un attimo in una vita carica di secoli e riprendente il suo cammino coi secoli”.
Egli, inoltre, decise di differenziare il destino dei materiali comuni da quelli di importanza storico-artistica. I resti della Loggetta ed i frammenti romani, bizantini e carolingi vennero recuperati e conservati a Palazzo ducale, mentre le rovine di basso interesse storico-artistico vennero imbarcate su dei piroscafi e “affidate” al mare profondo. Il primo viaggio avvenne il 22 luglio 1902 e il G. Boni organizzò una vera e propria cerimonia, portando con sè una bambina di nome Gigeta, la quale gettò il primo mattone nella laguna.
I lavori di ricostruzione iniziarono il 25 aprile 1903, giorno di San Marco. In occasione della posa della prima pietra, venne creata una cazzuola in rame dorato con il manico ricavato dal legno di una palafitta delle antiche fondamenta del campanile.
Durante il suo discorso, il sindaco F. Grimani, sottolineò più volte l’importanza della ricostruzione del Campanile secondo la teoria del com’era, dov’era ma, contrari a questa filosofia, si schierarono molte personalità importanti, tra cui: il giornalista austriaco Otto Wagner e il poeta italiano Giosuè Carducci.
Il primo scrisse un articolo provocatorio, in cui esponeva i suoi dubbi riguardo una ricostruzione fedele del Campanile. In particolare si chiese:
“Per quale motivo non dovrebbe essere rappresentato, nella piazza di Venezia, anche lo stile moderno poiché ormai la disgrazia è avvenuta? Sarebbe un voler falsificare la storia dell’architettura se si ricostruisse il campanile in stile antico”.
Giosuè Carducci, invece, negava dignità alla ricostruzione, sottolineando l’opportunità di non mascherare l’assenza ma di esaltarne il suo valore storico. Entrambi vennero aspramente criticati dal popolo veneziano e considerati dei filologi moralisti.
Qualche anno dopo, nel 1929, l’architetto italiano Gustavo Giovannini riassunse e commentò la vicenda schierandosi di fatto con il fronte del dov’era, com’era:
“Fiumi d’inchiostro si sono versati pro e contro la ricostruzione, e per lo stile nuovo o per l’imitazione dal vecchio. Ed in teoria tutti avevano ragione. Ma chi si trovava a Venezia negli anni in cui il campanile non esisteva più non poteva aver dubbi: Venezia, senza l’albero di maestra che dall’estremo della laguna o dall’aperto mare Adriatico annunziava la regina dei mari, non era più Venezia: piazza San Marco non aveva più la sua armonia e il suo significato… In questo contrastare tra i vari atteggiamenti della ragione, tra la ragione e il sentimento è la tragedia dei restauratori”.
Il 25 aprile 1912, dopo un decennio di lavori, il Ministro della Pubblica istruzione Creadaro, inaugurò il “nuovo” Campanile di San Marco.
Archivi fotografici ICCD, Fondo Ferro Candilera
Fotografo non identificato, Il volo del dirigibile militare su Venezia 2 Settembre 1910, 11910, fotografia analogica, FFC042817.
Il campanile di San Marco riedificata: studi, ricerche e relazioni, 1912, Antonio Fradeletto e Comune di Venezia
Filosi, Il campanile di San Marco in riparazione dopo il fulmine del 1757, Narrazione Istorica, 1757
Il campanile di San Marco riedificata: studi, ricerche e relazioni, 1912, Antonio Fradeletto e Comune di Venezia
Il campanile di San Marco riedificata: studi, ricerche e relazioni, 1912, Antonio Fradeletto e Comune di Venezia
Fotografo non identificato, L'area sgombrata dopo il crollo del campanile di San Marco, 1902, fotografia analogica
Archivi fotografici ICCD, FONDO ARCHIVIO MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
Fotografo non identificato, Venezia - Campanile di S. Marco. La base liberata dalle macerie del crollo del 1902 - positivo, 1902, gelatina ai sali d'argento, MPI153122
Archivi fotografici ICCD, Fondo Del Vecchio Coen
A. Tivoli, Venezia - Il Campanile di San Marco in costruzione, 1910, stampa fotomeccanica/ cartolina postale, DVC001377
Archivi fotografici ICCD, Fondo Ferro Candilera
Fotografo non identificato, IAZZA SAN MARCO E CAMPANILE PRIMA E DOPO LA CATASTROFE DEL 14 LUGLIO 1902, gelatina ai sali d'argento, N082963
Antonio Fradeletto, Comune di Venezia (a cura di), Il campanile di San Marco: studi, ricerche, relazioni, Venezia, 1912
Maurizio Fenzo, Il campanile di San Marco : il crollo e la ricostruzione : 14 luglio 1902-25 aprile 1912, Venezia, 14 luglio - 31 dicembre 1992
Bibliografia in rete
Crollo del Campanile di San Marco, 13/09/2023 (LINK)
Il Gazzettino - Il crollo del campanile di San Marco 14 luglio 1902, (LINK)
14 luglio 1902, quando cadde il campanile di San Marco, (LINK)