San Carlo Borromeo soccorre un appestato
La scena rappresenta Carlo Borromeo impegnato in varie azioni benevole nei confronti dei bisognosi durante la peste che infuriò a Milano, come in gran parte del nord Italia, nel 1576. Il beato (quando l'affresco fu realizzato Carlo era stato da poco beatificato) è raffigurato mentre procede a piedi sostenendo la reliquia del Santo Chiodo, circondato da un lungo corteo di prelati e chierici che prosegue anche nello sfondo. Il beato torna a essere protagonista sulla destra, figurando nei consueti abiti da vescovo mentre impartisce la comunione a un appestato a letto. Sulla sinistra, in primo piano, l'attenzione è rivolta al dramma della peste: sono visibili vari cadaveri, riversi a terra l'uno sopra l'altro, mentre a fianco uno di essi sta per essere sotterrato in una fossa.
- FONTE DEI DATI Regione Lombardia
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
intonaco/ pittura
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ATTRIBUZIONI
Nebbia, Cesare (1536-1614)
- LUOGO DI CONSERVAZIONE
- LOCALIZZAZIONE Collegio Borromeo
- INDIRIZZO Piazza Collegio Borromeo, 9(P), Pavia (PV)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L'esecuzione dell'affresco è documentata dalla fitta corrispondenza che ancora si conserva e consente di precisare la scansione cronologica di tutta la partitura decorativa del salone del Collegio Borromeo. Dopo aver terminato gli affreschi della volta nel marzo del 1604, Cesare Nebbia, coinvolto nell'impresa del salone già dal 1602 e assistito da due anonimi collaboratori, "uno dei quali "si fa le spese da sé", si dedicò alla realizzazione della scena in esame, collocata sulla parete nord del salone. Stando alle carte, il 31 marzo 1604 il pittore orvietano annunciava di aver cominciato il cartone preparatorio e di voler concludere l'episodio nel giro di tre-quattro mesi, per fare ritorno a Roma con l'intento di riprendere il lavoro a Pavia entro l'anno seguente. Se la cronologia è confermata dal fatto che, in ottobre, il pittore avesse già terminato l'affresco, potendo concedersi "molte ricreationi ... e feste", non si verificò invece il suo ritorno a Pavia, previsto per la primavera del 1605. Per dare seguito all'impresa del salone il cardinale Borromeo decise di coinvolgere Federico Zuccari, convocandolo direttamente da Venezia. Anche quest'ultimo, tuttavia, non ultimò la decorazione: le pareti lunghe del salone restarono infatti incompiute. Nell'affresco in esame si può individuare lo stile espressivo del pittore orvietano, orientato verso una chiarezza narrativa che conferisce un senso icastico all'episodio, per non dire un valore esemplifcativo e didascalico. Da questo punto di vista è indubbio che Cesare Nebbia abbia assimilato la lezione impartitagli dal maestro, il bresciano Girolamo Muziano, che nella Roma gregoriana e poi sistina raggiunse una posizione di assoluto rilievo, diventando di fatto il pittore ufficiale del papa e in quanto tale coordinando i cantieri aperti per iniziativa pontifcia. La velocità d'esecuzione con cui Nebbia affrontò l'affresco, portato a termine in pochi mesi, riflette la formazione avvenuta nel contesto romano (dove ai pittori si chiedeva appunto massima rapidità, per coprire grandi pareti nel minor tempo possibile), ed è probabile che la scelta del Borromeo ricadde su di lui anche per questo motivo. Il legame tra i due, inoltre, è attestato da un poemetto intitolato "Dell'Eccellenza della pittura" che Nebbia dedicò al cardinale milanese nel 1594, dove è esposta la visione artistica del pittore, sostenitore della pittura di stampo "devozionale" che il Borromeo certamente prediligeva.
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente religioso cattolico
- ENTE SCHEDATORE R03/ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0