San Sebastiano

dipinto, post 1550 - 1599

entro cornice rettangolare modanata, S.Sebastiano come figura maschile dal volto giovanile e lunghi capelli ricadenti sulle spalle; vestito del solo perizoma annodato sul lato sn, è legato ad un tronco con le braccia dietr o al busto colpito da numerose frecce che lasciano sgorgare gocce di sangu e

  • OGGETTO dipinto
  • AMBITO CULTURALE Ambito Italiano
  • LOCALIZZAZIONE Orvieto (TR)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La chiesa di S.Rocco, che sorge presso la "platea Populi" centro della vit a civile orvietana, di fronte al palazzo del Capitano del Popolo, fu costr uita per un'iniziativa civica sollecitata dalla grave epidemia di peste de l 1523. Si costituiva infatti in quell'anno - come riporta il Perali - la Società dei Forestieri di S.Rocco che otteneva dal Comune una porzione del l'area già sede delle "Case di Santa Chiesa" in parte ormai decadenti, ced uta definitivamente all'ente -che ne godeva fin dal XIV secolo- nel 1515 d a papa Leone X. Tra i soprastanti della Soc. di S.Rocco, cui è dunque lega ta la costruzione di questo santuario "contra pestem" orvietano, figura M ichele Sanmicheli (Verona, 1484-1559), ad Orvieto fin dal 1512 come capoma stro dell'Opera del Duomo -incarico che mantenne fino al 1525-: a lui vien e riferito, appunto, il progetto per l'erezione della chiesa di S.Rocco, d eliberata nelle Riformanze comunali fin dal 1523, anno del più grave propa garsi del morbo, ma compiuta solo nel 1527, probabilmente anche per l'ass enza del Sanmicheli, allontanatosi da Orvieto tra l'estate del 1523 e quel la del 1524, proprio per sfuggire al contagio (AODO, "Camerari" 1520-1526, c.41). Edificata in linee cinquecentesche, con l'accentuazione rinascimen tale del portale con lunetta in basalto, contribuì senza dubbio ad avviare quel processo di rinnovamento che interesserà, nel corso del XVI secolo t utto il complesso della piazza del Popolo. La chiesa di S.Rocco fu proprietà e sede della Confraternita omonima che, come informa la visita pastorale del 1605, vi si riuniva ogni domenica "pe r recitare l'officio alla Beata Vergine", mentre già all'epoca le celebraz ioni si erano ridotte al giorno della ricorrenza del santo titolare. Dopo la soppressione delle confraternite, ricorda il Piccolomini che la chiesa assunse la cura delle Carceri, insediatesi, come accennato, nel contiguo p alazzo già dei Sette, all'inizio dell'Ottocento: nella visita apostolica d el 1809 si verifica l'esistenza di grate che consentivano ai carcerati di assistere alla santa messa dall'interno del prigione stessa -grate elimina te probabilmente in seguito alla successiva sistemazione nel medesimo pala zzo dell'Ufficio Postale, progettata dall'ingegnere orvietano Paolo Zampi verso la fine di quel secolo. A quell'epoca le condizioni della chiesa ris ultano già gravemente compromesse da infiltrazioni e ristagno di acque di scolo soprattutto nelle zone addossate all'antico palazzo retrostante. Nel la visita pastorale Ingami del 1886 si rileva l'allarmante "stato di umidi tà singolare e nocivo" concentrato nell'area dell'abside e della sacrestia : purtroppo neppure l'intervento di restauro del Branzani nel 1930 -che in teressò non solo l'esterno ma anche le decorazioni pittoriche all'interno- riuscì a risanare o almeno arginare la grave situazione che è gradualment e degenerata ancora fino allo stato attuale, a causa del quale molti affre schi sono ormai totalmente alterati e praticamente illegibili. Riguardo a tali numerosi e, purtroppo deterioratissimi, dipinti murali pre senti nella chiesa, l'attenzione critica si è sempre concentrata su quelli della nicchia absidale -catino e parete sottostante- che risultano essere i più antichi ed effettivamente i più interessanti sotto il profilo stili stico, anche per la difficile valutazione di quelli degli altari laterali così alterati dalle cattiva conservazione e da interventi di restauro e ri dipintura. Il Piccolomini (Piccolomini, 1883, pp.218 s.) attribuiva i di pinti dell'abside, senza dinguere tra quelli della calotta e quelli della parete sottostante, alla "maniera di Sinibaldo Ibi". Dopo di lui, anche Pe rali (Perali, 1919, pp.159s.) riproponeva, per la zona superiore, quella g enerica attribuzione. Egli aveva però rintracciato per primo interessanti documenti d'archivio relativi, l'uno, del 1527, alla commissione di alcuni dipinti -secondo Perali "immagini della Vergine Maria e dei Santi Rocco, Sebastiano, Domenico e Michele ai lati" (Perali, 1919, p.162), testualment e, invece, nel documento "imagini virginis mariae et imagini sanctorum roc hi sebastiani donini et michaili arcangeli a lateribus ipsius virginis mar iae" (ASO, Not. 754, c.370 v.)- al pittore Cristoforo di Bartolomeo da Mar sciano; l'altro, del 1534, ad un contenzioso derivato dalla realizzazione di pitture "nell'altar maggiore di S.Rocco" da parte del "magister Eusebiu s Gasparis" da Montefiascone, i cui eredi reclamavano il pagamento dell'op era da parte della Confraternita committente. Lo storico orvietano conclud eva riassumendo che pertanto al maestro Eusebio dovevano essere attribuiti gli affreschi della parete absidale al di sotto del catino dove invece id entificava l'opera di un seguace dell'Ibi, diverso dal maestro Cristoforo poichè, visto che il soggetto realizzato differiva da quello allocato nell 'atto del 1524, la prima commissione non doveva essere andata a buon fine e dunque la scelta essere caduta su un n
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente religioso cattolico
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1000084880
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico dell'Umbria
  • DATA DI COMPILAZIONE 2003
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2006
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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