allegoria della Musica
dipinto,
ca 1530 - ca 1530
Luteri Giovanni Detto Dosso Dossi (1490 Ca./ 1542)
1490 ca./ 1542
n.p
- OGGETTO dipinto
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MISURE
Altezza: 160 cm
Larghezza: 168 cm
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ATTRIBUZIONI
Luteri Giovanni Detto Dosso Dossi (1490 Ca./ 1542)
- LOCALIZZAZIONE Palazzo Horne già Corsi
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Roberto Longhi ritiene l'opera del periodo maturo dell'artista, se non additittura tardo. La Mezzetti propone una datazione intorno al 1525. Filippo Rossi riporta un'opinione del Gamba secondo il quale il dipinto in esame doveva far serie con l'allegoria della pittura dove è raffigurato Giove che dipinge le farfalle, nella raccolta Lanckoronski di Vienna. Secondo Peter Humfrey il tema è di difficile interpretazione. Talvolta è visto come Vulcano, ma deve trattarsi di Tubalcano (Genesi 4: 19-22) che insieme al fratellastro, l'arpista Jubal, venne considerato durante il medioevo come co-fondatore dell'arte della musica. È meno chiara l'identificazione delle due figure femminili, ma il problema della lora relazione con Tubalcano, con i vari elementi simbolici e col messaggio dell'opera nel suo insieme sono stati ampiamente discussi da Parigi (1940) e da Gibbons (1968, pp. 92-98). Parigi ha spiegato che le figurazioni geometriche con notazioni musicali che appaiono nelle due tavolette tenute in mano dalla donna, si riferiscono ad un complesso e enigratico genere di canone tipico dello stile musicale franco-fiammingo diffuso alla corte ferrarese. Egli ha indicato che i martelli collocati dove è seduto Tubalcano e per terra recano rispettivamente la scritta VIII e XII e che così si riferiscono all'ordinata seguenza di suoni creata da martelli di dimensioni diversi, che secondo la tradizione collegavano l'attività dei fabbri alle origini della musica. Questa specifica tradizione era più greca che ebraica, poichè si supponeva che fosse stato Pitagora a porre le basi della teoria musicale in conseguenza dell'ascolto del suono prodotto dai fabbri al lavoro; la consapevole fusione attuata dal Dosso fra le due spiegazioni è evidenziata dal genio con la torcia. Parigi sintetizza nel modo seguente la sua interpretazione dell'allegoria d'insieme: `la musica, illuminata e sostenuta dalla fiamma dell'entusiasmo che viene da natura (puttino con la fiaccola) non può avere sicurezza di fondamento se non basata su principi naturali o scientifici (Tubalcain e martelli numerati); e non può aspirare, nè giungere a manifestazioni di sicura efficacia e bellezza (nudità muliebri) se non col possesso della più rigida e abile padronanza tecnica (canoni enigmatici a figure geometriche). E l'eccellenza dell'arte risiede nella composizione vocale (qualità dei canoni sulle tavole sostenute dalle donne) da considerarsi di maggior pregio di quella strumentale (viola per terra) al tempo del Dossi non anche sviluppatasi indipendente come e quanto la vocale. Nel complesso, insomma, la pittura del Dossi offre come emblema di quello che era ritenuto il più nobile e alto vertice dell'arte musicale quattro-cinquecentesca: la polifonia vocale fiorente su dal ferreo sillogizzare contrappuntistico. Calvesi ha suggerito che il dipinto contenga anche un insieme di riferimenti cabalistici alla relazione mistica fra musica e alchimia, ma questa spiegazione sembra eccessivamente complessa in considerazione della testimonianza visiva. Franca Trinchieri Camiz ha osservato che sia l'aspetto immediato del quadro, sia i gusti di Alfonso potrebbero suggerire una lettura legata più all'ambito della mitologia classica che a quello della tradizione biblica e medioevale. E in effetti non sembra difficile restituire al fabbro raffigurato nel dipinto del Dossi il suo vero volto mitologico di Vulcano, la cui tematica era presente nei Camerini di Alfonso. Nonostante il tema di Vulcano che crea musica e strumenti musicali sia raro secondo la Trinchieri, ci sono ragioni perche' Vulcano potesse essere assunto da Alfonso I come una sorta di proprio nume tutelare e farlo percio' raffigurare dal Dosso quale creatore di musica e di strumenti musicali. Non casualmente forse nell'Allegoria Horne sono rappresentati ai piedi del fabbro una viola e uno strumento a fiato: ossia gli stessi che Alfonso sapeva suonare e costruire. Data la grande importanza della corte di Ferrara per la cultura musicale dell'Italia del Rinascimento, è interessante notare che in origine il dipinto proveniva dal Castello Estense e che pertanto fu quasi certamente commissionato da un menbro della famiglia d'Este. Il mecenate della musica più importante a Ferrara durante il governo di Alfonso I fu il fratello minore del Duca, Cardinale Ippolito d'Este, ed è verosimile che sia stato lui a chiedere tale commissione. D'altra parte, se è corretta l'interpretazione proposta dal Parigi circa il messaggio dell'opera, allora il cardinale diviene un candidato meno probabile, poiche' è noto che egli fu particolarmente appassionato di musica secolare e strumentale, mentre fu lo stesso Alfonso ad avere la responsabilità del mantenimento della considerevole cappella ducale. Come è difficile interpretare il dipinto, così è difficile datarlo. Gibbins lo ha considerato come una delle ultime opere di Dosso, confrontando la sua composizione, simile ad un rilievo, con la pala di Faenza, del 1534, perduta ma nota da copia
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà persona giuridica senza scopo di lucro
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0900287582
- NUMERO D'INVENTARIO Horne 80
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la citta' metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della citta' di Firenze
- DATA DI COMPILAZIONE 1987
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2010
2012
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0