Storie di santa Barbara. episodi della vita di Santa Barbara
Il dipinto raffigura le storie della vita e del martirio di santa Barbara. A partire da sinistra, oltre una transenna di elementi geometrici in muratura culminanti in una breve scalinata, si riconosce la figuretta ignuda della martire, pietosamente ricoperta con un velo bianco da un angelo disceso dal cielo. Il corteo attraversa la piazza dei Signori a Verona popolata di spettatori curiosi affacciati ovunque. A sinistra si scorgono le ultime arcate della loggia del Consiglio e, sul lato opposto, la mole merlata del palazzo di Cansignorio (o del Capitano veneto), ancora con il portale ad arco acuto e la balconata che allora proseguiva, lungo la torre e sopra il vicino volto, fino al palazzo del Comune. Fa da fondale il palazzo di Cangrande (o del Podestà), collegato all’altro mediante il cosiddetto arco della tortura, oltre cui si scorge il mausoleo di Mastino II. Il racconto prosegue verso destra: sotto un’edicola sorretta da una doppia arcata, Barbara, che ha indossato di nuovo le sue vesti, ascolta la sentenza di morte mentre due soldati si avviano per una breve scalinata, riapparendo lungo il sentiero verso un leggero rialzo del terreno, dove il crudele Dioscoro, dopo aver decapitato la figlia, viene incenerito dal fulmine divino tra lo sgomento dei presenti
- OGGETTO predella dipinta
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Giolfino Nicola (1476/ 1555)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Ignorate dalle fonti più antiche, le “Storie di santa Barbara” (frammenti 937-1B1577 e 938-1B1577) di Nicola Giolfino sono citate per la prima volta nel 1821 da Giovan Battista Da Persico tra i dipinti della collezione Sambonifacio, da dove passarono, probabilmente nello stesso anno, nella raccolta Alcenago; qui Da Persico le ricorda in appendice alla sua “Descrizione di Verona” come «parte inferiore della tavola, ch’era in s. Eufemia, col martirio di s. Barbara, rappresentato nella nostra piazza de’ Signori». Questa informazione sembrerebbe indicare che la predella era in origine collocata sotto la “Madonna con il bambino e i santi Giuseppe, Antonio Abate, Paolo e Orsola”, l’unico dipinto di Giolfino ricordato in Sant’Eufemia dalle fonti settecentesche, e ora perduto, al quale tuttavia non pare adattarsi per il soggetto raffigurato. La pala, rimossa dalla chiesa trasformata in ospedale militare sotto l’occupazione francese e trasportata nel convento, andò distrutta in un incendio suscitato involontariamente dalle truppe che vi erano alloggiate, ma è possibile che la predella, forse già separata dalla sua pala in occasione del rinnovamento dell’altare nel 1736, fosse finita sotto un’altra pala, alla quale, del resto, molto bene si addiceva. Nel 1803 Saverio Dalla Rosa (ed. 1996, p. 65) cita, infatti, la pala con “Santa Barbara, sant’Antonio abate e san Rocco” di Francesco Torbido (da lui attribuita a Dionisio Battaglia) «e da basso in piccoli riparti gl’atti del Martirio di detta Santa [...] il tutto in una cornice grandiosa di legno indorata», accuratamente descritta anche in un inventario dell’8 maggio 1748 con le sue «collonine turchine et bianche et adorate con mezze colone, festoni, cornise et altro adorato», ma priva di predella (ASVr, Monasteri Maschili di Città, Sant’Eufemia, proc. 94). Dopo la dispersione della collezione Alcenago, le due tavole passarono in epoca imprecisata nella raccolta di Andrea Monga e da qui, per legato testamentario del figlio Bortolo, al Museo, dove vennero interpretate da Antonio Avena (1911) e dalla storiografia successiva come “Storie di sant’Agata”, sebbene gli episodi narrati nella predella si riferiscano senza alcun dubbio alla vita e al martirio di santa Barbara, tramandato dalla “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine. Il racconto si snoda dentro e fuori le mura di Verona, disponendo su piani diversi, entro uno spazio reso elastico da un calibratissimo sfruttamento della stretta superficie orizzontale a disposizione, dieci momenti della vita della santa, descritti in sequenze talora sommarie, talora più elaborate, così da realizzare un unico palcoscenico, in cui episodi successivi nel tempo vengono rappresentati contemporaneamente. Sebbene la particolare messa in scena usata da Giolfino in questa predella – così come nelle “Storie di san Francesco” in San Bernardino e, più tardi, nel “Sacrificio d’Isacco” affrescato nella navata di Santa Maria in Organo – si ricolleghi alla tradizione teatrale delle sacre rappresentazioni medievali, qui il punto di riferimento più pertinente nel tempo e nel linguaggio appare senz’altro quello offerto dalle “Storie di santa Barbara” affrescate da Lorenzo Lotto nel 1524 nell’oratorio Suardi a Trescore, come già aveva rilevato Rodolfo Pallucchini (1946) e come oggi la critica riconosce senza riserve. Tali sono infatti le analogie tra gli affreschi di Lotto e la predella di Giolfino – al di là dell’inevitabile ripetersi di situazioni che appartengono alla stessa leggenda e allo stesso repertorio iconografico – da far supporre che quest’ultimo si sia ispirato direttamente alle immagini dipinte a Trescore, tra le quali Lotto ha voluto lasciare il suo autoritratto nella misteriosa figura di cacciatore con una civetta che si allontana verso la porta della cappella (cfr. Zampetti, Cortesi Bosco 1975, p. 56). Anche secondo Marina Repetto Contaldo (2010, pp. 385-386), quest’ipotesi pare trovi un’ulteriore quanto suggestiva conferma nella presenza del mendicante barbuto (o forse un pellegrino), accovacciato in primo piano con lo sguardo rivolto verso lo spettatore e del tutto estraneo ai drammatici avvenimenti che si svolgono nella piazza dei Signori, a cui gira con ostentazione le spalle. Eppure, collocato in un punto cruciale della predella, l’unico che faccia esplicito riferimento a Verona, come teatro immaginario degli eventi narrati, ma anche come patria reale del pittore, che forse proprio qui intese raffigurarsi. Poiché sulla facciata dei palazzi scaligeri non compaiono ancora le due porte sammicheliane, eseguite per il podestà Giovanni Dolfin e per il capitano Leonardo Giustiniani, le “Storie di santa Barbara” dovrebbero collocarsi dopo il 1524 e prima del 1533, come una delle testimonianze più felici delle sue innegabili capacità di narratore, in prossimità delle “Storie di san Francesco” affrescate in San Bernardino e del “Martirio di sant’Erasmo” nella “Pala Faella” in Sant’Anastasia.||||(da Marina Repetto Contaldo 2010, pp. 385-386)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715232
- NUMERO D'INVENTARIO 938
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0