Trionfo di Pompeo. Dipinti - Trionfo di Pompeo

dipinto ca 1502 - ca 1502

Tavola 1B0751: corteo trionfale con carro trainato da due cavalli, prigionieri e soldati che portano vessilli e insegne. Tavola 1B0752: corteo trionfale con carro trainato da due elefanti, prigionieri, e soldati che portano vessilli e insegne in marcia verso una porta con colonne su plinti figurati

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Giolfino Nicola (1476/ 1555)
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Le due tavole, entrate al Museo nel 1892 con l’attribuzione a Nicolò Giolfino, assieme ai ritratti di Pompeo Magno (n. inv. 214-1B0802) e della moglie Emilia (n. inv. 228-1B0800), ritenuti invece opera di ignoto, costituiscono quanto resta di una più vasta decorazione, parte affrescata e parte dipinta su legno, un tempo esistente «in cubiculo superiori manu leva posito prope aulam» di palazzo Pompei all’Isolo di Sotto e presumibilmente realizzata nei primi anni del Cinquecento su commissione del notaio Giacomo quondam Paolo Pompei e dei fratelli Antonio, Girolamo detto il Malanchino, Tomio, Agostino, Giovanni Battista e Alessandro, allora proprietari dell’edificio. Ce ne resta preziosa testimonianza in un disegno (n. inv. 13313-2B695) eseguito da Michelangelo Cornale nel 1704 su incarico del conte Alessandro Pompei, per tramandare ai posteri il ricordo di queste pitture destinate ad essere distrutte per la costruzione di nuove scale. Dal disegno di Cornale non risulta però chiaro se le due tavole dei "Trionfi", oggi al Museo, costituissero un fregio lungo la parte superiore delle pareti della saletta, assieme a quelli affrescati e andati perduti (come sembrerebbe suggerire il forte scorcio da sotto in su dei carri trionfali), oppure se costituissero elementi singoli inseriti in spalliere lignee (come parrebbe indicare la loro soluzione di continuità). Sebbene – come ha osservato Gianni Peretti (1999) – le diverse scene non sembrino rappresentare con assoluta fedeltà gli autentici trionfi celebrati da Pompeo secondo le fonti storiche, pare tuttavia abbastanza probabile che la tavola più corta si riferisca al trionfo "ex Africa" del 79 a.C. e, in particolare, all’inutile tentativo di far passare attraverso la porta Capena un carro trainato da quattro elefanti (Plutarco, Pompeo, 14, 6). L’ipotesi sarebbe convalidata dalle due tavolette riprodotte da Cornale ai lati di questa scena, raffiguranti ciascuna alcuni devoti accanto a un’ara, a fianco di una delle quali compare la scritta «ORIENTEM SOLEM», allusiva all’audace discorso con il quale Pompeo, benché semplice cavaliere, convinse Silla a concedergli il trionfo, ricordandogli come fossero più numerosi gli adoratori del sole al suo nascere che non quelli che lo veneravano al suo tramonto (Plutarco, Pompeo, 14, 4). Le due scene affrescate sul muro, potrebbero in realtà costituire un solo trionfo, quello "ex Asia", celebrato nel 61 a.C in due giornate consecutive, neppure queste sufficienti a far sfilare al completo le ingenti ricchezze conquistate e il gran numero dei prigionieri catturati, descritto con dovizia di particolari da Plinio (Naturalis Historia, XXXIII, 151; XXXVII, 13-14) e da Plutarco (Pompeo, 45). Per esclusione, la più lunga delle tavole superstiti dovrebbe riferirsi al trionfo "ex Hispania" del 71 a.C., mentre non è chiaro a quale episodio storico alludesse l’ultima tavola (perduta), nella quale compare il condottiero vittorioso che, in piedi sopra un carro, arringa i suoi soldati. La fonte iconografica dei "Trionfi di Pompeo" è invece chiaramente riconoscibile nei "Trionfi di Cesare" di Mantegna (se non conosciuti di persona certo noti al pittore veronese attraverso qualche copia grafica completa), trasformati in un racconto brioso e pieno di arguzia nel quale la gravità di Roma si snatura in un ritmo da circo equestre, frantumandosi in episodi di gustosa originalità, come la figura del prigioniero nudo, legato con un cordone da tenda sulla groppa di un toro bardato a festa, oppure quella dell’ostaggio che avanza, preoccupato, tentando di sottrarre i polpacci ai morsi di un cane-leone in miniatura. Proprio la presenza di questi particolari, che conferiscono alla narrazione un gusto popolaresco senza tuttavia alterare la qualità del linguaggio, sostenuto con sicurezza dal tratto nervoso del segno e da un senso felicissimo del colore, sembra ragionevolmente confermare la tradizionale attribuzione delle due tavole a Nicola Giolfino, che potrebbe averle dipinte intorno al 1502 (Peretti 1999; opinione appoggiata anche da Repetto Contaldo 2010, pp. 376-377), e comunque ancora sotto l'influsso di Liberale, in prossimità del "Ludi lupercali" della collezione Martini a Ca' Rezzonico (inv. 12) e della "Scena di giudizio" della Galleria di Palazzo Reale a Genova (inv. 995). Più di recente, Mattia Vinco (2018, pp. 406-407) si è opposto a questa ipotesi sostenendo che lo stile sommario della realizzazione non deporrebbe a favore di un'autografia di Giolfino. In accordo con Hans-Joachim Eberhardt, Vinco ritiene piuttosto, in ragione del grande successo ottenuto da Giolfino nel secondo e terzo decennio del Cinquecento, che la sua prova iniziale sia da ricercare in un'opera come il "Suicidio di Didone" della National Gallery di Londra, che delinea un inizio del pittore della stessa tenuta qualitativa di quello di Giovan Francesco Caroto. (da Marina Repetto Contaldo 2010, pp. 376-377)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715221
  • NUMERO D'INVENTARIO 635
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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