Polittico del Paladon. I santi Caterina, Leonardo, Gottardo e Domenico
dipinto murale
1502 - 1502
Morone Domenico (1440 Ca./ Post 1517)
1440 ca./ post 1517
Entro una struttura architettonica divisa in quattro scomparti da pilastri decorati a girali, si collocano quattro figure di santi con i loro attributi. Sulla trabeazione corre un'iscrizione
- OGGETTO dipinto murale
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MATERIA E TECNICA
intonaco/ pittura a affresco
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ATTRIBUZIONI
Morone Domenico (1440 Ca./ Post 1517)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L'affresco, assieme ad un altro frammento (inv. 675-1B2070), proviene dalla chiesa di San Nicola da Tolentino in località Paladon a San Pietro Incariano, che sembra aver avuto la funzione di cappella per la residenza maggiore della tenuta, proprietà della famiglia veronese dei Verità Poeta. Essi furono staccati da Attilio Motta nel 1909 e donati nel 1910 dall’allora proprietario, Giovambattista Andrioli, ai Musei civici veronesi, probabilmente su consiglio di Luigi Simeoni, che pubblicò le immagini nel 1909, subito prima dell’operazione. Lo stacco era motivato forse, più che da ragioni conservative, dal progetto di ristrutturazione del complesso che prevedeva la demolizione della piccola chiesa campestre. Resta la sintetica relazione della visita pastorale del vescovo Giberti, del 25 luglio 1541, interessante, anche se non parla degli affreschi, in quanto conferma la totale pertinenza dell’edificio sacro ai Poeta e documenta già a quella data la necessità di completamenti e restauri. Sulle trabeazioni degli affreschi corrono due grandi scritte che alternano pezzi di data e firma, in spazi residui discontinui, con i nomi dei santi, collocati sopra le figure per chiarezza didattica. Se i committenti non sono menzionati nelle iscrizioni, perché probabilmente ricordati in altre parti della chiesa, il pittore, invece, si firma due volte e si data da una parte 12 settembre 1502, dall’altra 17 ottobre 1502. La vicinanza delle date fa pensare a due uscite ravvicinate della bottega di Domenico Morone e ad un’esecuzione piuttosto rapida. I santi raffigurati, disposti su una base marmorea sono tutti tipici della devozione veronese quattrocentesca, tranne san Gottardo vescovo di Brescia, la cui presenza richiederebbe una supplementare motivazione. Perse le indicazioni della struttura originale della cappella si può supporre che i due affreschi fossero ai lati di un’absidiola o di un piccolo presbiterio, con al centro, più che un terzo affresco, una pala o un’opera scultorea sull’altare. La disposizione frontale dei santi richiama una tradizione consolidatissima delle chiese di Verona e del suo del territorio, risalente ai due secoli precedenti, che sorprende non solo sopravviva ancora all’inizio del Cinquecento ma anche che costituisca un’evidente e precisa richiesta di tipo devozionale. Un elemento di novità è rappresentato dall'inquadramento delle singole figure in un’illusionistica loggia-polittico, tra pilastri ornati di preziose candelabre, che riprendono quelle dei portali scolpiti dai lapicidi veronesi contemporanei, specialisti nel genere. Era del resto tipico dei polittici veronesi l’uso di elementi divisori tra le tavole a forma di pilastrino con ornamenti di pastiglia dorata simili a questi, quali si ritrovano nella produzione di Benaglio e della bottega di Antonio Badile II. Il confronto con gli affreschi della Libreria Sagramoso, anche solo per la data, è inevitabile pure per la conclusione di una medesima autografia. Le figure dei santi vescovi sembrano risalire agli stessi modelli di due sinopie simili, sempre di Domenico Morone, ancora visibili nella cappella Medici in San Bernardino a Verona. Brenzoni nel 1956 pubblicava ancora le fotografie delle sinopie degli affreschi di Paladon, oggi distrutte o disperse. Nelle sinopie, la stesura delle figure è veloce, ma tutt’altro che approssimativa. Spesso è disegnato il nudo sotto il panneggio, come nel caso dei santi Antonio, Rocco e Caterina. La figura di sant’Antonio è molto più energica ed espressiva che nella più goffa redazione pittorica finale, mentre sant’Onofrio risultava laterale di tre quarti, a movimentare la serie. Si può supporre che Domenico Morone, la cui bottega allora era oberata da tutte le più importanti commissioni veronesi, si fosse fatto aiutare da assistenti nelle trasferte di Paladon. Marinelli (2010, pp. 262-264) proponeva seppur con cautela di vedere nel sant’Onofrio, così diverso dai santi vescovi dallo sguardo severo, un intervento del figlio Francesco. Così pure il casto sant’Antonio che assomiglia già molto ai frati della sacrestia di Santa Maria in Organo. Non lasciano invece dubbi, circa il diretto intervento di Domenico, i santi dell’altro lato. La deduzione che se ne ricava è che non ci dovette essere mai una divisione netta di botteghe tra padre e figlio, pur con una divisione, sempre più netta col tempo, di opere. La qualità degli affreschi è stata alzata o abbassata dai critici, dalla Cuppini a Bellosi, a seconda delle teorie che volevano sostenere. Certo che le fotografie pubblicate da Simeoni nel 1909 mostrano uno stato di conservazione e una qualità pittorica che oggi non ritroviamo, a dimostrazione che il trasporto dell’affresco quasi sempre significa la sua riduzione allo stato larvale. Nello spazio ristretto intorno all’altare, le figure dei santi, che si guardavano e interloquivano, dovevano costituire un piccolo e perenne teatro, percezione che oggi risulta del tutto perduta. (da Sergio Marinelli 2010, pp. 262-264)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715204
- NUMERO D'INVENTARIO 674
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- ISCRIZIONI sulla trabeazione - DOMINICVS. P. S. KATERINA. MCCCCCII. S. LEONARDVS. DIE. S. GOTARDVS. XII. S. DOMINICVS. MENSE SETEMBRIS - capitale -
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0