trionfo di Aureliano

dipinto, post 1717 - ante 1725

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  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Tiepolo Giovanni Battista (1696/ 1770)
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Crosato Giovanni Battista
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto pervenne alla Pinacoteca grazie a un lascito del Cavalier Francesco Marsengo nel 1869 (Gabrielli, 1971). Contrariamente a quanto riteneva Baudi di Vesme (1912) e invece sosteneva Sack (1910), la sua provenienza dalla collezione romana del cardinale Fesch è stata provata sulla base della rispondenza con una voce inventariale del 1839 e in quella sede rimase sino alla vendita del 1845 (Dinelli Graziani, 2005 riportato in Ton, 2011). Sacks (1910), seguito da Antonio Morassi (1943; 1962) e Anna Pallucchini (1968), intuiva invece la sua originaria collocazione nel palazzo della famiglia veneziana Zenobio ai Carmini, ipotesi motivata sia dalla rispondenza onomastica tra il casato e l’eroina rappresentata che da una testimonianza fornita nel 1732 da Vincenzo da Canal, il quale nella Vita di Gregorio Lazzarini per l’appunto ricorda tra le prime commissioni affidate al giovane Giambattista Tiepolo una sala del palazzo “compartita in varie storie”. L’estremo cronologico fornito dalla fonte orientò pertanto il parere degli studiosi compreso Shapeley (1974), meritevole di aver riunito per la prima volta un gruppo di quattro tele disperse in varie collezioni ma congrue sotto il profilo tematico (La Regina Zenobia arringa i suoi soldati, Washington, National Gallery of Art; Il Trionfo di Aureliano, Torino, Galleria Sabauda; Il Cacciatore a cavallo e il Cacciatore con cervo, Milano, collezione Crespi e Fondazione Cariplo) e di averle legate al ciclo che decorava un tempo la dimora veneziana. In un momento successivo Knox (1979) riprendeva la tesi di Shapley aggiungendo alla serie anche Zenobia di fronte ad Aureliano del Prado e ritenendo erroneamente i due Cacciatori di collezione privata frammenti superstiti di una composizione maggiore rappresentante una caccia reale (cfr. Loire – de Llanos, 1998). Indicava poi in una stanza situata a nord-ovest del piano nobile dell’immobile l’originaria collocazione dell’insieme pittorico e nelle nozze celebrate nel 1718 tra Alvise Zenobio e Alba Soranzo l’occasione di committenza, proponeva di conseguenza una datazione complessiva precocissima, orientata cioè attorno al 1717. Secondo la sua ricostruzione la dispersione del ciclo doveva essere avvenuta verso il 1817 con la morte di Alvise Zenobio e comunque non prima del 1815, quando Moschini ne rilevava ancora la presenza in situ. Ad eccezione di Andreina Griseri (1993; 1994), incline ad attribuire il dipinto sabaudo a Giambattista Crosato per confronto con gli Armigeri di Stupinigi e a riconoscervi uno stile meno eroico di quello tiepolesco ma invece più consonante con il pensiero juvarriano, la restante parte della critica ritiene certa l’autografia da sempre proposta. S’interroga tuttavia sulla possibile data di esecuzione da ultimo orientata agli esordi del terzo decennio. Secondo Massimo Gemin e Filippo Pedrocco (1993) pare infatti probabile che le tele di Ca’ Zenobio costituiscano l’antefatto degli affreschi del Patriarcato di Udine - comunemente datati a partire dal 1726 - oppure delle tele già a Palazzo Sandi a Venezia (ora a Castelgomberto, Vicenza) per i comuni elementi stilistici, iconografici e fisiognomici, che in vero si colgono anche negli affreschi di villa Baglioni a Massanzago (Mariuz-Pavanello, 1985; Pilo, 1997, cfr. Griseri, 1996). Quest’ultimo confronto è suggerito dalla palese somiglianza tra la figura di Saturno che fuoriesce da una cornice affrescata e il vegliardo in arme del dipinto sabaudo (Mariuz-Pavanello, 1985), o ancora da quella rilevabile con il San Girolamo che addita la croce della Sacrestia veneziana di San Giovanni Crisostomo (Mariuz-Pavanello, 1995). All’altro capo cronologico, invece, la Crocifissione di San Martino di Burano prelude al progressivo schiarimento della tavolozza (Pedrocco, 1996) e per Pilo (1997) a una maggior maturità del linguaggio compositivo, ancora farraginoso e a tratti slegato nei giovanili episodi di storia antica della metà del secondo decennio ma pienamente compiuto nella “drammaticità del dettato narrativo” del Trionfo di Aureliano. Qui il “plasticismo outré” dei protagonisti pare dipendere ancora da Piazzetta ma anche da Pagani, che si direbbe direttamente citato proprio nella figura del summenzionato guerriero barbato. Al contrario, giusto un secolo prima, Jacobsen (1897) riteneva che l’episodio non fosse stato “schiettamente intuito” ma venisse risolto con eccessiva “chiassosità di forme e di colori”. Per la Tardito Amerio (in La Galleria Sabauda, 1982) l’utilizzo di un supporto in canapa a tramatura rada si mostrerebbe consonante ai materiali utilizzati dalla coeva pittura francese, denotando per Bensi (1993) una scelta eccentrica rispetto al generale uso italiano del lino ma anche di grande coerenza in funzione del formato di notevoli dimensioni. Sulla base delle disomogeneità stilistiche evidenti tra le tele che compongono il ciclo, [continua nel campo OSS]
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350786
  • NUMERO D'INVENTARIO 737
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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