Teti nelle fucina di Vulcano
dipinto,
post 1575 - ante 1585
Da Ponte Jacopo Detto Jacopo Bassano (bottega)
1515 ca./ 1592
Cornice del secondo quarto del XVIII secolo, documentata dal 1851
- OGGETTO dipinto
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ATTRIBUZIONI
Da Ponte Jacopo Detto Jacopo Bassano (bottega): pittore
Da Ponte Francesco Detto Bassanino (attribuito)
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
- LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
- INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto è nominato per la prima volta in una nota redatta da Carlo Emanuele I nel 1605, ove nella sala del Giardino si ricordano “I gran quadri del Basan”, tra i quali sono riconoscibili con certezza almeno La fucina di Vulcano e Il Ratto delle Sabine della Galleria Sabauda. Facevano parte del gruppo anche una generica “fiera”, “quattro stagioni et altri”, dei quali si è oggi smarrita ogni traccia utile per riconoscerli. Dalla corrispondenza intercorsa tra Domenico Belli - agente sabaudo a Venezia - e lo stesso Duca veniamo messi a parte di alcune commissioni conferite tra il 1579 e il 1582-83 ai Bassano, Jacopo Palma il Giovane e Paolo Veronese, dunque ai migliori artisti disponibili sulla piazza veneziana e contestualmente presenti nel cantiere di Palazzo Ducale. Mentre sulla base del tramite svolto dallo scultore cremonese Giovanni Battista Bombarda e della testimonianza resa dal Borghini s’ipotizza che la bottega bassanesca fosse coinvolta entro il 1584 (cfr. Bava, 1995), senza però sapere con certezza quali furono i dipinti effettivamente richiesti e poter distinguere tra le personalità specificamente impegnate nell’esecuzione degli stessi. Pare però del tutto superato il riconoscimento proposto a suo tempo da Angelucci (1868), il quale segnalava la presenza di una “fusina di Vulcano” tra le Liste di oggetti giunti da Milano nel 1633 e acquistati da Pietro Antonio Maggi, che invece renderebbero conto della presenza di un altro dipinto giunto nelle collezioni sabaude solo in un secondo momento (Gabrielli, 1971; Bava, 1995). Si riferisce con tutta probabilità a quest’ultimo Antonio dalla Cornia che, nell’inventario del 1635, registra la presenza nel Gabinetto Dorato di Palazzo Ducale di un’opera mediocre di Francesco di soggetto analogo. Sebbene l'opera oggetto della presente scheda rechi la firma di Jacopo, quasi all’unanimità la critica ritiene che essa non sia indice di sicura ed esclusiva autografia ma debba essere considerata alla stregua di altri prodotti fuoriusciti dallo studio bassanesco e per lo più realizzati dai figli. Più nel dettaglio Arslan (1931; 1960) la considera di bottega e copia del quadro da lui attribuito a Francesco oggi a Vienna. Per Ballarin (1969; 1992; 1995) si tratterebbe invece di una replica da un’invenzione di Jacopo della seconda metà dell’ottavo decennio, che è attualmente riconosciuta nel dipinto del Prado in deposito presso l’Università di Barcellona databile entro il 1577 (Ballarin, 1992), da cui discenderebbe inoltre anche quella confermata al catalogo di Francesco già in collezione Sambon (oggi al Louvre, cfr. Habert, 1998, pp. 78-79 n. 12). Quest’ultimo infatti ebbe larga parte nella messa a punto del soggetto, come dimostrano una coppia di disegni ritenuti preparatori per il fuochista vestito di verde e per il calderaio seduto a destra, rispettivamente provenienti dalla collezione Horne di Firenze (inv. 5664, oggi presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi,) e dal Louvre (inv. 5288, cfr. anche Rearick, 1992). È ritenuto infine vero e proprio frutto della collaborazione tra Jacopo e Francesco da Zottmann (1908), il quale tra l’altro ricordava un’ulteriore versione firmata da entrambi a Poznàn, ma anche da Bettini (1932), dalla Gabrielli (1971) e dalla Guida didattica del museo (1982), che da ultimo però ritiene preferibile proporre un’attribuzione più generica a Jacopo e collaboratori (La Galleria Sabauda, 1991; Bava, Radelet, 2009). Fuori dal coro si sono espressi Venturi (1929) e Rearick (1992), che inclinavano esclusivamente in direzione di Francesco, mentre secondo un giudizio verbale fornito da Fiocco (1962, riportato in Gabrielli, 1971) a lui sarebbe imputabile soltanto il paesaggio. In tal senso gli esiti della recente campagna di analisi condotta sul dipinto nel 2008, potrebbero ergersi a ulteriore spunto di riflessione dimostrando che, al contrario del prototipo madrileno di Jacopo e compatibilmente alla redazione parigina attribuita a Francesco (Habert, 1998, pp. 78-79; Falomir, 2001, pp. 138-139 n. 28), quella torinese non ha rivelato la presenza di alcun pentimento soggiacente al film pittorico definitivo, mostrando inoltre l’assenza di un’imprimitura a biacca e del conseguente abbozzo materico preparatorio (Bava, Radelet, 2009). Dal punto di vista compositivo e iconografico si tratta di una rielaborazione dal Fuoco del museo di Sarasota, a sua volta il migliore tra gli esemplari superstiti della celebre serie dei quattro Elementi (Rearick, 1992, p. 190). Non di meno si riscontra eguale prossimità con l’elemento dell’Acqua, dal quale deriverebbe per trasformazione iconografica del ragazzo con la cesta di pesce quello con la borsa delle monete – peraltro associato da Habert (1998, p. 79) a un disegno preparatorio passato sul mercato antiquario nel 1992 – e il pescivendolo poi convertito in Vulcano (Ballarin, 1992). Rearick (1992) osserva inoltre che la tematica mitologica, [CONTINUA NEL CAMPO OSS]
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350742
- NUMERO D'INVENTARIO 422
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
- DATA DI COMPILAZIONE 2013
- ISCRIZIONI sul dipinto - Jacopus Bassanus - a pennello - latino
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0