Ciclo di poeti e letterati, sormontati da raffigurazioni a grottesche

dipinto murale,

Il ciclo di affreschi, squadernato su tre pareti (e forse in origine, almeno in parte, su una quarta) si compone di dieci figure di poeti e letterati, ritratti all'interno di arcate dipinte in verde che, in sequenza, formano una sorta di loggiato, aperto nello sfondo in un paesaggio. Ciascun personaggio ha il capo cinto da una corona di alloro e sorregge un libro, un cartiglio, una tabella o un calamo, oppure compie un gesto parlante con un mano. La serie di figurazioni si svolge a 155 cm da terra, in origine forse sopra uno zoccolo dipinto, ed è delimitata in alto, sopra un cornicione modanato, da un fregio monocromo a grottesche, ove figurine lottano e si affrontano, in alcuni riquadri alternate a motivi ornamentali. Una cornice sommitale, andata perduta, doveva verosimilmente completare tali figurazioni

  • OGGETTO dipinto murale
  • AMBITO CULTURALE Ambito Romagnolo
  • LOCALIZZAZIONE Ravenna (RA)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il ciclo, oggi in stato frammentario, venne rinvenuto verso il 1907 nell’atrio al piano terreno di casa Salotti. Come attesta la documentazione conservata presso l’Archivio Storico della SABAP di Ravenna, nel 1909 iniziarono le trattative per l’acquisto da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, che venne perfezionato nel 1911. Nel medesimo frangente la Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna avviò le procedure per il distacco dei dipinti murali, la cui estensione era di circa 25 metri quadrati e che le fotografie scattate in concomitanza con il rinvenimento (conservate presso l’Archivio Fotografico della SABAP di Ravenna) mostrano in uno stato alquanto disagiato. Vari restauratori vennero contattati per l’esecuzione dello stacco: Giulio Cesare Pietra, Giuseppe Mezzolani e Domenico Fiscali. Nel 1911 quest’ultimo compilò una relazione, nella quale sconsigliava lo stacco per ragioni inerenti la tecnica esecutiva degli affreschi e la situazione di umidità; operazione che a suo giudizio avrebbe provocato un ulteriore deperimento delle pitture. All’inizio del 1912 lo strappo venne eseguito da Franco Steffanoni, membro della nota famiglia di restauratori bergamaschi: i riquadri vennero trasportati su tela e, ad avviso dello Steffanoni, non subirono alcun danno nel corso del lavoro. Le immagini da subito riconosciute, in virtù dell’iconografia, in ritratti di poeti e filosofi vennero collocate in una stanza della Soprintendenza presso l’ex monastero di San Vitale, ove li menziona Corrado Ricci (1923), il quale li ritiene “dello scorcio del sec. XV”. Per lo studioso una fra esse poteva forse identificarsi in Cecco d’Ascoli; ipotesi che Silvio Bernicoli (1929) considerava plausibile, in quanto l’effige del poeta era stata inclusa, insieme a quelle di Dante e Petrarca, nell’antico sepolcro dell’Alighieri, come testimonia un atto del 1535 relativo al restauro di tali dipinti. Il Bernicoli rinvenne poco oltre (1931) un documento del 1547 riguardante la concessione da parte del Comune di Ravenna di un sussidio annuale allo studio pubblico di Logica e Filosofia istituito presso il convento di San Giovanni Battista: il testo specificava come tale studio fosse da tempo operante, sicché, considerata la prossimità di casa Salotti con l’insediamento religioso, lo studioso considerava probabile che parte di esso coincidesse con l’ambiente in cui erano emersi gli affreschi, che con tale collegamento avrebbero trovato un loro significato in merito alla funzione e alla committenza. Nondimeno, il ciclo non è stato in seguito oggetto di una conoscenza e di uno studio approfonditi in ambito ravennate: ricordato da Majoli (1956) e Foschi (1970) nei loro volumi sugli edifici e le famiglie locali, è stato catalogato verso la metà degli anni ottanta da Luciana Martini, la quale lo datava al primo quarto del XVI secolo, ritenendolo influenzato dal linguaggio peruginesco. Nella scheda la funzionaria segnalava come due riquadri, non specificati, fossero stati restaurati nel 1982. Un intervento complessivo, cui si deve l'attuale stato conservativo, è stato effettuato in seguito. Marzia Faietti (1994) diede una breve segnalazione dell'opera su indicazione della Martini, specificando come per quest’ultima potessero individuarsi due mani diverse. Per la Faietti emergono “caratteri arcaici” nell’elaborazione delle figure, “mentre le grottesche della cornice superiore sono prettamente cinquecentesche”. Poco più oltre la Martini (1999) citava queste ultime porzioni indicandone la discrepanza con quelle di alcuni affreschi rinvenuti nella chiesa ravennate di San Niccolò. Inquadrati da architetture di gusto classicheggiante, i personaggi mostrano un’intonazione formale di matrice tardo quattrocentesca, che si rivela nei panneggi strascicati o incollati sui corpi e, senza denotare specifiche confluenze con il linguaggio del Perugino, rivelano piuttosto una cultura aggiornata sul pacato classicismo di Lorenzo Costa, mentre non si colgono relazioni cogenti con la cultura ravennate a cavallo fra i due secoli, improntata sull’attività di Niccolò Rondinelli e Baldassarre Carrari. La cronologia di questo episodio provinciale, ma degno di interesse, di poeti e letterati illustri sembra nell’insieme porsi all’inizio del Cinquecento. Più libere e qualitativamente accattivanti sono le guizzanti figure del fregio superiore, opera forse di un diverso e più dotato artista. La funzione del ciclo si adatta a quella didattica individuata dal Bernicoli. I letterati, abbigliati secondo il costume del tempo, ma con accenti che in alcuni fra essi rinviano al Tre e Quattrocento, dovevano probabilmente essere individuati da iscrizioni sottostanti, andate perdute. È possibile che per l'iconografia l'autore del ciclo abbia tratto ispirazione da un repertorio grafico di modelli. La figura in rosso con copricapo verde che si allunga sul retro, già identificata in Cecco d’Ascoli, conviene meglio all’immagine di Dante. È probabile che tra le altre si nascondano le effigi di Petrarca e Boccaccio, nonché di autori dell’antichità. Non si dimentichi che nel Trecento, oltre a Dante, dimorò a Ravenna il Boccaccio, nonché una figura di umanista quale Donato Albanzani, sodale di quest’ultimo e di Petrarca, che qui insegnò grammatica e retorica
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800690599-0
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
  • DATA DI COMPILAZIONE 2023
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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