Madonna con il bambino. Madonna con il bambino

dipinto 1470 - 1479

La Madonna stringe a sè il Bambino in piedi su un parapetto

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ tecnica mista
  • ATTRIBUZIONI Bellini Giovanni (1432 Ca./ 1516)
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Quando l’opera perviene, tra il 1851 e il 1870, alla Galleria Bernasconi, Carlo Ferrari, nel catalogo manoscritto della collezione, annota: «lo stile del dipinto ricorda la vecchia scuola veneta, come ad esempio la prima maniera dei Bellini. La mossa del Bambino è bellissima e nuova. Era in casa Tiepolo a Venezia». La provenienza sembra riguardare più probabilmente il ramo dei Tiepolo mercanti di seta, quelli che furono ritratti in famiglia da Ménageot a Vicenza (nella tela conservata ora a Ferrara) e che avevano accumulato un consistente patrimonio all’inizio dell’Ottocento, presto sperperato nel corso del secolo. Gli stessi Tiepolo sono presenti per vie parentali nella villa Torri, poi Della Persia, alla Biondella, periferia di Verona, affrescata da Dorigny. Se il dipinto fosse partito direttamente da una loro casa veneziana oppure fosse emigrato progressivamente verso la terraferma non si può oggi ancora dire con precisione. Intanto è emerso un Inventario di libri, quadri, sculture ecc., mss. 1808-1820, archivio privato Tiepolo, b. 107, Archivio di Stato di Venezia, dove al n. 42 compare «Gio.Bellino, B.V. con bambino». A quelle date dunque il dipinto si trovava ancora a Venezia. In ogni caso entra nella collezione Bernasconi subito dopo l’altra "Madonna in rosso" (inv. 865-1B0110), segno che gli interessi per l’arte belliniana si risvegliano appunto a Verona solo intorno alla metà del secolo. L’immagine di quest’arte dovette tuttavia restare a lungo confusa se la "Madonna" veronese fu ascritta nella didascalia della foto Brogi 14609 come «Scuola fiorentina» (ma anche questa voleva essere forse una promozione sulla base della qualità), finché fu passata con sicurezza al maestro veneziano da Morelli nel 1890. Varie le comunicazioni al museo in merito al quadro: Adolfo Venturi (18 ottobre 1903) "Studio coevo da Gian Bellini" e "Marescalco"; Gustavo Frizzoni (lettera al direttore, 30 aprile 1904) Giovanni Bellini; Cavenaghi (12 agosto 1904) "ricorda la prima maniera di Bellini"; G. Cantalamessa (30 luglio 1904) Giovanni Bellini, maniera giovanile. Il restauro del dipinto, finanziato da Cagnola ed eseguito da Cavenaghi, scavalcando volutamente, per l’importanza della tavola, i più oscuri restauratori locali, fu celebrato da Gerola in un articolo su «Rassegna d’arte» del gennaio 1909, che esaltava la riscoperta centralità dell’opera all’interno della collezione veronese: «risorta a vita nuova, la Madonna del grande maestro ritorna oggi tra le sale del palazzo Pompei a rifulgere superbamente tra i gioielli della pinacoteca veronese, pur non disdegnando la vicinanza di tanti dipinti che le rievocano lontane memorie di graditi tirocini, di feconde collaborazioni e di insegnamenti imperituri». L’immagine, come ha sottolineato Maria Clelia Galassi nella sua analisi riflettografica (1998), è stata costruita da un cartone a spolvero, con ritocchi minimi di disegno soggiacente, come intorno agli occhi. La presenza consistente dell’olio come legante ha determinato infatti una nuova stesura e sequenza di stratigrafie della materia pittorica, che ha reso superfluo il disegno soggiacente miniaturistico delle precedenti versioni. La datazione, generalmente fissata alla metà dell’ottavo decennio del secolo, è spostata in avanti da Clelia Galassi di un decennio in base al mutamento del metodo costruttivo. Poiché tale mutamento tuttavia non è precisamente documentato al suo inizio, che può anche esser stato repentino, al di fuori di comodi schemi cronologici ricostruttivi di funzione didattica, si preferisce mantenere il dipinto comunque ancora nell’ottavo decennio del secolo, se non alla fine di quello precedente, come suggerisce Keith Christiansen (2004), e come tutte le altre indicazioni stilistiche sembrano continuare ad indicare. Per la sua ieraticità e gravità arcaica e per il virtuosismo ricercato degli incastri spaziali la tavola veronese potrebbe essere infatti una delle prime opere dipinte con la nuova tecnica delle trasparenze luminose e anche questo forse costituisce parte del fascino di questo, dolce e severo insieme, dipinto. Agisce in questo senso anche la sostituzione del paesaggio roccioso di fondo, presente nelle più antiche versioni dello schema compositivo, ad Amsterdam e a Berlino, con l’idea astratta di un cielo di pura essenza e variazione luminosa, anche se oggi quasi totalmente rinforzato nella materia pittorica. La sublime sintesi compositiva dell’immagine, con la sua estrema misura cromatica, luministica e formale rende superflua ogni ricerca di eventuali collaborazioni marginali, comunque, se mai esistite, totalmente assorbite. Dell’opera resta una copia seicentesca nel Museo di Padova, recante al retro la scritta «N.D. Marina Giustinian Cornaro Cavaliera S. Polo», che Gerola identifica con Marina Giustinian Lolin, sposa nel 1725 a Gerolamo Corner (da Sergio Marinelli 2010, cat. 135)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715175
  • NUMERO D'INVENTARIO 860
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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