Ritratto femminile. Ritratto femminile
dipinto
1500 - 1510
Mocetto Girolamo (1470 Ca./ 1531 Post)
1470 ca./ 1531 post
Giovane donna ritratta a mezzo busto
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Mocetto Girolamo (1470 Ca./ 1531 Post)
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE La piccola tavola, destinata con ogni probabilità allo scambio nuziale, è da ricondurre ad una committenza colta e raffinata come rivelano la scelta dell’abbigliamento - una candida camicia in lino con bordo rosso ricamato a volute vegetali dorate lungo lo scollo e un mantello verde foderato di panno vermiglio – e le preziose rifiniture d’oro dei capelli. Come sottolineato da Lurati (2014, pp. 54-55), l’intricata acconciatura che a detta di Marin Sanudo era peculiare delle donne “novizie”, riferendosi alle promesse spose o appena maritate, sembra confermare l’ipotesi che si possa trattare di un dipinto eseguito in occasione di un fidanzamento. Del resto, se l’ostentazione della treccia era stata adottata quale modo per manifestare la condizione di donna prossima alle nozze (Dal Pozzolo 2008, p. 104), lo sguardo della giovane che sembra pudicamente cercare quello dell’amato intende instaurare una sorta di muta intesa. La rifinitura all’agata dell’incarnato del volto accentua i tratti disegnativi, decisi e taglienti, e crea una forte evidenza volumetrica che fa risaltare l’accentuata espressività del bel volto. I tratti incisi e con evidenza descrittiva dell’immagine pervengono alla pittura dalla pratica grafica di Girolamo Mocetto, uno dei più dotati trascrittori dell’opera di Andrea Mantegna: più che evidente appare il debito nei confronti del mezzo tecnico a lui più congeniale nella complessa capigliatura che consente all’artista le raffinate prove coloristiche con i fili d’oro. Le preziosità evidenziate e la costruzione stereometrica del volto confermano i debiti di Girolamo Mocetto, evidenziati dalla critica (Pallucchini 1985; Romano 1985), nei confronti di Alvise Vivarini, già notati nella grande vetrata dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, completata nel 1515, e l’attenzione, consueta nella sua generazione, ma più leggibile nelle sue prove, alla pittura di Antonello da Messina. Eseguito in anni non lontani dalla pala per Santa Maria in Organo, che, confutando il riferimento a Girolamo Dai Libri di Serena Romano, Marinelli (1996) riconduceva alla tradizionale paternità e alla data del 1517 circa, il piccolo brano pittorico si confronta malamente con altre opere documentariamente associate allo stesso momento della sua permanenza veronese, tanto da richiedere una revisione cronologica della sua attività per Verona, compressa di alcuni anni. Le difficoltà disegnative, rivelate dagli affreschi di Palazzo Cattanei (cat. 150), e differenti scelte stilistiche rispetto al polittico Renier, opere databili al 1517 e negli anni immediatamente successivi, rendono difficile una collocazione della pala per gli olivetani e del ritratto di Castelvecchio nello stesso periodo, suggerendo una retrodatazione di entrambi agli inizi del secolo, abbandonando per la nostra tavoletta la proposta alla tarda attività dell’artista (Romano 1985) e rivedendo l’ipotesi di Fiocco (1914), che vi riconosceva invece una delle sue prime opere note. Il confronto con la “Madonna con il bambino” di collocazione privata (Marinelli 2001, fig. 26), di stretto riferimento alvisiano, misura la distanza delle opere ancora suggestionate da quel momento veneziano rispetto al gruppo delle opere veronesi del 1517 circa e in particolare rispetto al ritrattino del polittico Renier, quando l’artista sembra ripercorrere le suggestioni di Montagna con le modulazioni luminose di Giambellino. La stesura pittorica smaltata corrisponde, inoltre, a un momento della pittura veneziana che vede analoghe prove in Carpaccio e Cima da Conegliano, ai quali guardano, negli stessi anni, pittori cresciuti in ambito locale ma attenti alle novità veneziane, come Jacopo da Montagnana, con esiti non lontani dalla tavoletta veronese. La vicinanza stilistica, nella petrosità del segno, si riscontra anche con quanto Bartolomeo Montagna aveva eseguito nella cappella di San Biagio all’inizio del secolo. Un’ulteriore perplessità su una datazione così tarda deriva anche dal confronto con la ritrattistica veneziana coeva, influenzata verso la fine del primo decennio dalle novità atmosferiche diffuse da Giorgione, dalla grande attenzione della cultura artistica veronese alle novità centro-italiane e dall’accoglimento, a ridosso del secondo decennio, di queste novità da parte dei pittori veronesi, come attestano le opere di Giovani Francesco Caroto e Paolo Morando. Quando poi al catalogo stesso dell’artista, Ericani (2010, pp. 209-210) proponeva il confronto con il “Ritratto di giovinetto” della Galleria Estense di Modena, assestato agli ultimi anni del Quattrocento (Romano 1985), che suggerirebbe di retrodatare l’altra opera ritrattistica del pittore muranese in un momento leggermente posteriore a quello, quando all’influenza alvisiana e mantegnesca si sovrappose un recupero della grande tradizione veneziana. (da Giuliana Ericani 2010, pp. 209-210)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715108
- NUMERO D'INVENTARIO 1404
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0