Dormitio Virginis. Dormitio Virginis

paliotto ca 1429 - ca 1432

La Madonna è stesa sul letto di morte, con una grande croce d’oro sul petto, ed è circondata da undici monumentali figure di apostoli e da tre angeli, che portano ceri, turibolo e secchiello dell’acqua santa, affiancando san Pietro, il terzo da destra, nella celebrazione dell’officio funebre. In alto, quasi al centro, spicca contro il fondo blu la mandorla rossa dove Cristo porta in cielo l’animula della madre, raffigurata come un bambino nudo

  • OGGETTO paliotto
  • MATERIA E TECNICA tela/ tecnica mista
  • ATTRIBUZIONI Giambono Michele (notizie 1420/ 1462)
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L'opera presenta "il tema della "Dormitio Virginis", un soggetto di origine bizantina, che nel corso del Trecento era stato affrontato da Paolo e Lorenzo Veneziano (...). Nel dipinto in esame si abbandona il modello bizantino (...) per adottare, anche se con grande libertà, lo schema iconografico del polittico laurenziano che lo rappresenta in alto, entro una mandorla. Hanno maggiore risalto le figure degli apostoli, fissate in una grande varietà di attitudini, ma nella piccola raffigurazione di Cristo sono evidenti riecheggiamenti da Lorenzo Veneziano sia negli angeli disposti a girandola attorno alla mandorla, con l’angelo più in basso ripreso in scorcio, come nel polittico Proti di Vicenza, sia nella loro resa a monocromo, come nel corteo angelico attorno alla "Madonna dell’umiltà" in Sant'Anastasia a Verona. La scelta di privilegiare le figure degli apostoli attorno alla Madonna si spiega con buona probabilità per il formato particolare del dipinto, tutto sbilanciato in orizzontale, ma resta singolare, se non in rapporto a una collocazione che privilegiava un punto di vista laterale, la distribuzione irregolare delle figure attorno al cataletto, con un maggiore addensamento di presenze nella parte destra. È un’opera problematica per questo e per la singolarità del formato, del supporto e anche della tecnica, oltre che per una situazione conservativa che, malgrado il recente restauro, ne pregiudica l’apprezzamento e la piena comprensione. (...) Le alterazioni sono dovute comunque anche alla particolarità del supporto e della tecnica; si tratta infatti di un dipinto su tela, secondo un uso documentato, ma di cui restano poche testimonianze superstiti a date così alte. L’insieme voleva offrire l’effetto di un finto arazzo, dato che la ‘rugosità’ della tela rimaneva in leggera evidenza sotto la sottile preparazione. Lo fanno credere le osservazioni fatte da Mirella Simonetti (1989), che ha proposto quale causa dello scurimento della pittura un «forte uso del medium oleoso» come legante dei pigmenti «su uno spessore di preparazione a gesso e colla estremamente sottile», probabilmente a sua volta saturato d’olio. È una tecnica nordica che, combinandosi con l’uso di lamine e pastiglia, è affine, pur nella diversità del supporto, alle soluzioni adottate sulla parete del monumento Serego in Santa Anastasia a Verona. Si segnalano, in particolare, i molti inserti rilevati a pastiglia dorata – quasi tutti perduti, ma ben ricostruibili – come le sequenze di archetti che profilavano i nimbi o come i soli raggianti del piviale rosso di san Pietro, motivi che, in modo quasi sovrapponibile, sono presenti anche nelle pitture murali del citato monumento Serego. Quanto resta sulla tela della preziosa lavorazione e dell’intensa cromia originarie riesce ancora a restituire la parvenza di un lusso visivo, conforme alla più tradizionale produzione artistica veneziana d’esportazione e di rappresentanza. Purtroppo non si sa nulla circa l’ubicazione originaria di quest’opera, ma è plausibile ritenere che provenga da qualche chiesa veronese, con una committenza aperta alle sollecitazioni dell’osservanza francescana, data la duplice presenza sul drappo rosso del cataletto del monogramma raggiato di Cristo, diffuso dalla predicazione di Bernardino da Siena, presente a Verona nel 1423, e attestato già sul sarcofago della "Resurrezione di Cristo" nel monumento Brenzoni in San Fermo Maggiore, compiuto intorno al 1426. Date le strette affinità con le pitture del monumento Serego in Santa Anastasia (...) non si può escludere che il committente possa essere lo stesso Cortesia II da Serego, che nel testamento del 1429 stabilì di essere sepolto in Santa Maria di Arcarotta e che più tardi finanziò la costruzione di Santa Chiara, entrambe fondazioni legate all’osservanza francescana. Il supporto e il formato del dipinto portano a ritenere che fosse originariamente un paliotto d’altare (Magagnato 1962), mentre va esclusa l’ipotesi, avanzata da Merkel (1989), che l’opera sia nata come modello per la preparazione di un arazzo, vista la elaborazione complessa e preziosa della superficie. (...) Nel quadro d’insieme del percorso figurativo di Giambono la cronologia meglio sostenibile è quella in prossimità della decorazione pittorica del monumento a Cortesia da Serego nella chiesa di Santa Anastasia, datata 1432 (...). L’evidenza monumentale delle figure si allinea molto bene con le figure dei santi domenicani delle pitture Serego, mostrando già una apertura sensibile verso le coeve esperienze degli scultori toscani (Franco 1996a, 1998a)" (da Franco 2010, cat. 74)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715103
  • NUMERO D'INVENTARIO 5554
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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