Rebecca ed Eliezer al pozzo

dipinto,

La cornice in legno intagliato e dorato è costituita da tre modanature lineari con sobrie decorazioni a piccole sfere. I due personaggi sono realizzati a mezza figura e posti tre quarti. Rebecca occupa l'area sinistra, abbigliata con tunica e turbante, tiene nella mano destra una brocca metallica con mascherone antico. Nella parte destra la figura di Eliezer con la mano sinistra appoggiata ad un bastone.Sullo sfondo un paesaggio con albero e un cammello

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Lanfranco Giovanni (attribuito): pittore
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Torri Flaminio
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Reale, Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Proveniente dalle collezioni sabaude il dipinto raffigura un episodio veterotestamentale: l'incontro tra il servo Elizier, inviato da Abramo per trovare una degna sposa per il figlio Isacco, e Rebecca, la quale, dimostrandosi compassionevole e caritatevole, diverrà la prescelta. Fu donato da re Carlo Alberto alla reale Pinacoteca. Nell'inventario del 1682, tra le opere presenti nella Galleria Grande del Palazzo ducale Vecchio, viene citato un quadro raffigurante "Rachele con un vaso d'acqua, che parla con un pastore" alto tre piedi e largo circa quattro; per vicinanza iconografica l'opera potrebbe essere identificata con il quadro ora in Sabauda (Baudi di Vesme, 1897). L'opera potrebbe coincidere in realtà con un'altro dipinto citato dall'inventario sabaudo del 1631, il cui tema iconografico è indicato come "Samaritana, cornice dorata, del Guercin da Cento, larg.a p.di 4, a. 3" (Campori, 1870). Nel 1835, al passaggio alla Reale Pinacoteca, il quadro viene comunque citato come dipinto eseguito dal pittore bolognese Flaminio Torri ed a questi è stato riferito per lungo tempo. La critica ha difatti sostenuto tale attribuzione ad iniziare dal Callery, per passare al Vesme sino ai successivi studi del Servoliée ed al catalogo redatto nel 1971 da Noemi Gabrielli. All'epoca si valutava però un dipinto dalla cromia molto scurita, a causa della sporcizia e inficiato da precedenti interventi conservativi. Si deve all'autorevole parere di Stephen Pepper la prima proposta attributiva a favore di Giovanni Lanfranco, formulata attorno il 1987 e ripresa poi da Erich Schleier, il quale ne propose una datazione attorno l'inizio del terzo decennio del Seicento. Il restauro cui l'opera fu stata sottoposta l'anno prima dell'esposizione alla mostra torinese 'Diana trionfatrice' del 1989, ha sciolto ulteriori incertezze sulla paternità lanfranchiana. Rimuovendo una 'pesante ridipintura moderna' il restauro ha ridonato all'opera 'quell'equilibrio chiaroscurale e compositivo che si riconosce al Lanfranco, nel periodo romano allo scadere del secondo decennio', tanto che nella relativa scheda di catalogo Michela Di Macco ne proponeva l'identificazione con "un quadro della bella Rachel, del Lanfranchi, ingrandito da tre canti e raccomodato in molti luoghi" citato nell'elenco dei dipinti restaurati dal pittore Pier Francesco Garola pubblicato dal Vesme (Schede Vesme, 1963-1982, II, 1966; Di Macco, 1989). La specifica del Garola circa l'ingrandimento della tela riportata più sopra, fornirebbe in questo caso ulteriori spunti riconsiderare la possibilità di una coincidenza tra l'opera in sabauda e quelle citate dagli antichi inventari, di misure più piccole appunto, superando così il problema dell'identità iconografica, che di fatto appare di modesta portata. In occasione del catalogo della mostra torinese la Di Macco ha fatto notare inoltre che l'inizio di possibili rapporti tra il Lanfranco e la corte sabauda si potrebbe individuare a partire dal disegno eseguito dal Parmense intorno al 1620 a Roma in onore del cardinale Maurizio, per l'incisione di Giovanni Federico Greuter a ricordo della beatificazione di Amedeo IX di Savoia (Schleier 1983; Di Macco, 1989). La tela sabauda è stata successivamente pubblicata nel catalogo della mostra del 2001 dedicata al Lanfranco nella cui scheda lo Schleier, ricordando le origini dell'attribuzione lanfranchiana, segnala come il dipinto torinese abbia una sua specificità compositiva rispetto ad una differente versione, costituita dal "Quadro di Rachele al fonte di mano del Lanfranco", citata nell'inventario del 1639 del cardinal Laudivio Zacchia e in un'altro inventario del 1662 di Felice Zacchia Rondinini, dove l'identificazione iconografica però diviene sintomaticamente "Rebecca che dà da bere al servo d'Abramo del Lanfranco". Rispetto a questi esemplari la composizione di Torino presenta un modellato più "chiuso duro e metallico" con contrasti chiaroscurali alquanto marcati, che l'avvicinano ad opere come la pala raffigurante la 'Vergine con il Bambino, san Giuseppe e san Carlo Borromeo', conservata a Varese nella chiesa di Sant'Antonio alla Motta, firmata e datata 1620. Del dipinto torinese esiste una copia più piccola, già in collezione privata a Bergamo (Schleier 2001)
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350822
  • NUMERO D'INVENTARIO 122
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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