Caino uccide Abele

dipinto,

I due fratelli sono rappresentati a figura intera, nudi e con l'inguine coperto da velli. Abele è semidisteso a terrasorreggendosi con il braccio destro. Con il sinistro cerca di ripararsi da Caino che lo tiene per i capelli e si prepara a sferrare con una clava il colpo fatale. Nello sfondo si distingue un paesaggio ed una collina con pochi alberi. Il cielo è popolato da nubi scure. La cornice in legno dorato è caratterizzata da tre modanature di cui quella interna decorata a motivi fitomorfi e quella esterna decorata a perline

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Reni Guido (attribuito): pittore
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Elisabetta Sirani
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Reale, Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La critica identifica generalmente questo dipinto con quello indicato dal Malvasia «in casa del sig. Carlo Emanuele Durazzo» di Genova. Monsignor Carlo Emanuele Durazzo è peraltro noto per aver commissionato un quadro al Guercino raffigurante una Morte di Cleopatra, oggi conservato nella Galleria d’Arte del Comune a Palazzo Rosso a Genova. La tela torinese viene menzionata dal d'Azeglio come copia da Guido Reni eseguita da Elisabetta Sirani (d'Azeglio 1841, 1866). Nella puntuale descrizione scritta dal Callery nel 1859 il dipinto compare ancora sotto il nome della Sirani e si aggiunge «C'est la copie d'un tableau que le Guide avait peint pour le marquis Charles Durazzo»; l'erudito in seguito scrive improvvisamente «mais il faut etre prévenu par la légende du Musée, pour ne pas croire que c'est vraiment là l'original» a causa dei colori, del tocco «… tantot fine, tantot vigoreureuse et toujours empatée du Guide» e addirittura individuando nella tela l'alterazione di alcuni toni come succede, aggiunge il Callery, in qualche dipinto del Reni (Callery 1859). Successivamente il Baudi di Vesme ha sottolineato che il dipinto non compare nel pur completo catalogo dei lavori tenuto dalla Sirani, confermandone comunque le informazioni già fornite dagli studiosi precedenti e cioè la provenienza da Piacenza, l'acquisto da parte del noto astronomo Plana che lo vendette al conte Pompeo Gazzaniga e la donazione di quest'ultimo alla Reale Galleria Sabauda nel 1838. Nel catalogo del 1971 Noemi Gabrielli riporta le medesime notizie dei cataloghi precedenti, mostrandosi incline a riconsiderare il parere già espresso dal Callery e quindi a ritenere l'opera lavoro autografo del Reni (Gabrielli 1971). Tale posizione è stata peraltro accreditata dall'autorevole parere di specialisti della pittura bolognese, quali Gnudi e Mahon. Successivamente l'opera è stata compresa tra le nuove attribuzioni al maestro di Calvenzano anche dal Pepper che colloca il dipinto agli anni 1617-18, accanto alla Crocifissione della Pinacoteca Nazionale di Bologna (già nella chiesa dei Cappuccini) ed al San Rocco in carcere della Galleria Estense di Modena (Pepper 1988) che sono affini al dipinto torinese per questioni di stile. Benché citata dal Malvasia tra le opere presenti a Genova il dipinto non è menzionato nelle Guide della città; se ne riconoscono tuttavia delle derivazioni in opere di altro soggetto, come ad esempio nelle due tele con San Sebastiano rispettivamente a Berlino e Potsam, o nella rappresentazione con Il figliol prodigo conservato sempre a Berlino (Pepper 1988). Più di recente Boccardo tenta di retrodatare la presenza del dipinto a Genova, proponendo di riconoscere l'opera Durazzo nel “quadro di Abel, e Cain" citato -ma come copia da Guido Reni- nell'inventario di Gerolamo Balbi, rappresentante della ricca famiglia di mercanti genovesi, redatto nel 1624 a più di quarant'anni dalla morte del notabile ma aggiornato con le opere acquisite successivamente. Poiché già nei documenti settecenteschi tale dipinto non appare più tra le disponibilità degli eredi del Balbi, il Boccardo ritiene l'opera oramai dispersa (P. Boccardo, X. F. Salomon 2007). Bisogna tener presente tuttavia che non esistono di contro elementi tali da rendere infruttuoso il tentativo d'identificare il dipinto già in collezione Durazzo con la tela ora in Galleria Sabauda. In attesa che nuove emergenze documentali possano aggiungere anelli mancanti alla ricostruzione della vicenda ci si dovrà basare sui dati iconografici e filologici - naturalmente il medesimo soggetto iconografico, ma ancor più la citazione dei diversi inventari nei quali ricorre la dicitura 'copia da', benché in seguito la critica recente abbia tolto ogni dubbio circa la sua autografia - che vertono sostanzialmente a favore di tale identificazione
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350819
  • NUMERO D'INVENTARIO 116
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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