La confutazione dell'eresia. Fedele da Sigmaringa confuta l'eresia

dipinto, ca. 1735 - ca. 1746

La parola come arma potente con la quale difendere il proprio credo, questo è il tema di fondo del quadro dipinto da Pietro Ligari nel secondo quarto del Settecento. Protagonista è Fedele da Sigmaringa, Cappuccino vissuto a cavallo tra XVI e XVII secolo, noto per la sua azione di predicatore della fede cattolica nelle terre teatro della Riforma luterana. La figurazione è impostata per piani diagonali e il contrasto tra luci e ombre intensifica la drammaticità della scena. Il frate si scaglia e schiaccia verso il basso la personificazione dell'eresia, figura che tenta di divincolarsi, aggrappata invano ad un libro tra le cui pagine si insinua una serpe avvolta in spire. Il quadro non è terminato, manca infatti il calamo con il quale il martire dovrebbe scrivere su un volume aperto, sorretto da un angelo paffuto, diversamente non si spiegherebbe la mano destra alzata, bloccata in una posa innaturale.

  • FONTE DEI DATI Regione Lombardia
  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Ligari, Giovanni Pietro (1686-1752)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Museo Valtellinese di Storia e Arte. Fondo Ligari
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Sassi De' Lavizzari
  • INDIRIZZO Via Maurizio Quadrio, 27/ p, Sondrio (SO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L'opera faceva parte dei beni di alcuni discendenti dei pittori Ligari, giunta al Museo di Sondrio per lascito testamentario della signora Clotilde Bontardelli Bonadei di Brescia, morta nel 1946. Esiste pure il piccolo bozzetto preparatorio, anch'esso proveniente dall'eredità Ligari, passato nella collezione Meli Bassi a Milano e a sua volta donato di recente al Museo valtellinese di storia e arte. La simultanea presenza tra i beni di famiglia di entrambe le opere lascia supporre una commissione non andata in porto, ipotesi avvalorata dal fatto che il dipinto sembra non terminato. In un Inventario del 1735-1737 Pietro Ligari descrive i quadri appesi alle pareti della sua casa e ne cita "un piccolo del Beato Fedele meza [sic] figura", poichè a quella data il frate era beato (1729) ma non ancora santo (la canonizzazione risale al 1746). In un manoscritto ottocentesco che Camillo Bassi indica come "Anonimo I" e attribuisce ad Angelo Ligari, pronipote di Pietro, si attesta che nello studio degli avi si conservava un quadro "grande al vero, in mezza figura, che rappresenta il venerando Valleriano che fiacca l'eresia, che però non è finito, ma di bella composizione piena di foco" (Bassi, 1931). Il termine "non finito" potrebbe dunque riferirsi alla penna non riprodotta nel dipinto ma presente invece nel bozzetto, brandita impetuosamente dal Beato con la mano destra, nell'atto di colpire l'eresia più che di scrivere sul libro aperto davanti a lui e sorretto da un angioletto. La composizione dinamica - di cui Rossana Bossaglia lodò "la vigoria che rasenta, senza varcarli, i limiti dell'enfatico" - presenta colori vividi, insoliti nell'abituale compostezza del Ligari. Si ripropone così il discorso sul colore usato dall'artista, che è di stampo lombardo solido e corposo, se pure "riscaldato talora da barbagli veneti e segnatamente piazzetteschi". Fedele da Sigmaringa, Cappuccino mandato nella terra dei Grigioni a predicare la fede cattolica contro l'eresia luterana, fu martirizzato a Coira (Svizzera) nel 1622; nella stessa città, tra il terzo e il quarto decennio del Settecento, lavorò per Pietro de Salis proprio il pittore sondriese, che condivideva la venerazione dei valtellinesi per il frate martire.
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • ENTE SCHEDATORE R03/ Museo Valtellinese di Storia e Arte
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2014
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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