Retablo di Sant'Antonio di Padova. miracoli di Sant'Antonio di Padova con Annunciazione, Crocifissione di Cristo, Sant'Antonio Abate, Sant'Antioco e Santi Apostoli
retablo,
Cavaro Michele (bottega)
1515-1538/ 1584
Retablo a doppio trittico completo di predella e polvaroli. Al centro, nicchia semiesagonale e tabernacolo sottostante oggi privo di antine di chiusura
- OGGETTO retablo
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MATERIA E TECNICA
legno/ intaglio/ pittura a olio/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Cavaro Michele (bottega)
- LOCALIZZAZIONE Maracalagonis (CA)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L’opera è menzionata per la prima volta in un atto notarile del 10 marzo 1567 - pubblicato da C. Aru nel 1926 - nel quale Michele Cavaro si impegnava a “renovar” l’altare di Sant’Antonio gravemente danneggiato da un incendio scoppiato nella parrocchiale nel 1551. L’Aru scrive che “l’’ancona di Maracalagonis è grossolana opera di bottega, nella quale però le scene sono condotte su esemplari o disegni nutriti di intendimenti prospettici”. La critica successiva concorda con questo giudizio: R. Delogu (1937) che osserva anche come la sagoma del casamento e l’intaglio delle cornici rimandino a motivi ornamentali “di un gotico catalano ancora puro” e ritiene pertanto che il retablo originale sia stato eseguito non oltre il terzo - quarto decennio nel ‘500 e rimanda - soprattutto per le tavole con il Sant’Antonio Abate, il Sant’Antioco e quelle della predella - ad ambito spagnolo, in particolare alla scuola di J. Barcelo; G. Olla Repetto (1964); A. de Lasarte (1984) che ipotizza, inoltre, che l’opera originaria possa essere quella per la quale il valenzano Michael Nadal ricevette un acconto nel 1455 (o quella commissionata nel 1452 al pittore catalano Bernat Martorel, morto in quello stesso anno e la cui bottega fu rilevata dal Nadal); R.Serra- R.Coroneo (1990); L. Siddi (1992; 2002) che, accogliendo le suggestioni del Delogu, sottolinea come la linea sinuosa dell’intaglio della cornice - che ricalca ancora motivi tardo gotici – rimandi a quella del retablo maggiore della cattedrale di Ardara (1505 o 1515); M. Serreli (1993); G. Serreli (2005); I. Farci- L. Siddi (2023). Le indagini diagnostiche condotte in occasione dell’ultimo restauro – prima del quale l’opera si trovava in precario stato di conservazione - hanno fornito informazioni preziose: la tavola con la Vergine annunciata e quelle della predella sono ricavate da legni diversi rispetto a quello utilizzato per gli altri scomparti ed i polvaroli; dall’analisi dei disegni preparatori sottostanti – realizzati, nella tavola, con una punta di piombo o d’argento, a segnare soprattutto i contorni dei volti ed i capelli, e, sulla preparazione, a pennello e/o a penna d’oca – emerge uno studio dettagliato della composizione, più debole solo nei polvaroli (come, del resto, anche la pellicola pittorica) e riconducibile alla mano di un unico artista. Queste scoperte consentono di delineare, per il disegno preparatorio, il profilo di un pittore di modeste qualità tecniche, con una scarsa conoscenza sia dell’anatomia sia delle regole prospettiche ma che, tuttavia, progettò il dipinto con grande cura, avendo numerosi ripensamenti, evidenti soprattutto nella predella e nella tavola con il Sant’Antonio abate, sotto il quale vi è il disegno di un angelo che il nostro artista provò a impostare più volte con diverse modifiche nella testa, nelle ali e nella posizione del corpo; dovette, infine, desistere o, molto più probabilmente, si rese conto dell’assenza del santo titolare e dovette cambiare soggetto, per altro raffigurando per sbaglio un Sant’Antonio abate e non di Padova. L. Siddi (1992) fa notare, però, come in alcune parti della predella il disegno non trovi corrispondenza con lo strato pittorico soprastante, tanto da presentare immagini sdoppiate, come se, a differenza degli altri scomparti, chi ha eseguito la ridipintura abbia dovuto tener conto dell’originale sottostante; a sostegno di questa ipotesi sono anche le tracce residue della cromia originaria e la presenza di una tecnica pittorica più delicata e naturalistica che ancora emerge in alcune parti accanto a tratti generalmente marcati e quasi caricaturali. La studiosa, pertanto, è arrivata alla conclusione che l’incendio abbia risparmiato solo la predella e gli intagli lignei e, in base all’analisi stilistica, ritiene di poter rilevare la mano di due artisti differenti, che restaurarono la predella e realizzarono ex novo uno le tavole centrali e l’altro i polvaroli. A proporre un’interpretazione diversa è, invece, M.G. Scano (2013), a cominciare dalle tracce di tratti più delicati e naturalistici residui nella predella, che sarebbero non lontani da quelli che caratterizzano gli Apostoli dei polvaroli; ci sarebbe, inoltre, una somiglianza tra il disegno preparatorio della predella e quello dell’angelo individuato sotto il Sant’Antonio Abate, laddove il disegno preparatorio di quest’ultimo, invece, sarebbe simile a quello degli altri scomparti. Infine, pur ritenendo verosimile il rimando ad artista della scuola del Barcelo attivo nei primi decenni del Cinquecento per le sole tavolette e le cornici della predella, rileva, invece, come gli intagli lignei degli scomparti superiori e dei polvaroli siano confrontabili con quelli superstiti del cosiddetto Retablo di Sant’Elia, conservato nella basilica di Sant’Elena a Quartu Sant’Elena (M. Cavaro e A. Mainas (att.) metà XVI sec.) ed a quelli del Retablo dei Consiglieri del Palazzo civico di Cagliari (attribuito ad anonimo manierista campano e aiuti, forse Pietro e Michele Cavaro, terzo decennio XVI sec.), confronto accolto anche da I. Farci - L. Siddi (2023). Secondo la Scano, quindi, si potrebbe pensare che anche il retablo originale sia stato realizzato dalla bottega dei Cavaro, cosa che spiegherebbe il perché Michele avesse accettato di restaurarlo a proprie spese; non solo, la fisionomia di alcune figure della predella e dei polvaroli rimanderebbe a personaggi di Pietro Cavaro, nonostante la sostanziale differenza dei rispettivi disegni preparatori, tanto da non far escludere un intervento diretto dello stesso Michele, pur nell’economia di un lavoro di restauro e ridipintura sicuramente affidato alla bottega. La nicchia originariamente ospitava il simulacro del Santo titolare, come risulta dalla visita pastorale di mons. Alonso Laso Cedeño nel 1599: “son retaulo molt bo y en mig una imagie de dita invocatio de bulto en un encaix o caseta que esta alli”. La statua, oggi perduta, era ritenuta miracolosa per aver, secondo la cronaca di padre Slvatore Vidal del 1639, salvato la chiesa dall’essere completamente distrutta dall’incendio. Fu sostituita da quella attuale della Madonna del Rosario(NCTN 2000030229) entro il 1613, come risulta dall’inventario redatto in quell’anno, in occasione della visita pastorale di mons. Ambrogio Machin. Quando, nel 1926, la cappella fu intitolata a Sant’Ilario papa (da alcuni ritenuto nativo di Maracalagonis) venne acquistato un simulacro del Santo che prese posto nella nicchia fino all’ultimo restauro sopra citato, in occasione del quale venne ripristinato l’assetto seicentesco
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 2000030226-0
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna
- DATA DI COMPILAZIONE 1984
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2006
2023
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0