La Roma di Mussolini. apoteosi del fascismo

dipinto,
  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Montanarini Luigi (1906/ 1998)
  • LOCALIZZAZIONE Complesso del Foro Italico
  • INDIRIZZO piazza Lauro De Bosis 15, Roma (RM)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Trasferitosi a Roma nel 1934, in seguito alla vittoria del Pensionato Artistico Nazionale, Montanarini ricevette la commissione di quest'opera nel 1936 (Marullo 2006, p. 112). Non dovette però occuparsene subito, forse a causa dell'impegno quotidiano presso la Scuola d'Arte di Civita Castellana, dove dal 1936 al 1939 insegnò disegno dal vero, per poi assumere nel 1939 la direzione dell'Istituto d'Arte di Velletri e vincere nel 1940 il concorso nazionale per la cattedra di Figura Disegnata presso l'Accademia di Belle Arti di via di Ripetta in Roma; impegni ai quali affiancò negli stessi anni una vasta attività espositiva accanto ai protagonisti della Scuola Romana e di Corrente. Il suo impegno alla grande pittura murale del Foro Mussolini è documentato dal 1941 e l'iconografia stessa dell'opera - complessa e ancora da indagare - dimostra chiaramente come essa sia stata elaborata dopo l'entrata in guerra dell'Italia. Aerei e navi da guerra sono infatti elementi costitutivi di questa gigantesca allegoria del Fascismo e della Guerra (questa è l'identificazione da proporre per la figura femminile in alto a destra, dietro alla quale infuriano fiamme e fuochi), che vede al centro Mussolini su un podio, circondato dai gerarchi fascisti (si riconoscono i quadrumviri che guidarono le squadre d'azione durante la Marcia su Roma) e da una folla di militi e popolo fra tricolori, bandiere nere e trofei guerreschi. Preziose notizie relative all'elaborazione dell'opera si ritrovano nella corrispondenza dello scultore Ado Furlan, che dal luglio 1940 condivise con l'artista fiorentino lo studio di via Margutta 51/a e da questi fu introdotto all'architetto Moretti dal quale ricevette la commissione della Fontana del Cinghiale. "Montanarini è in un giro di affari importanti - scriveva Furlan alla moglie Ester il 13 luglio del 1941 - e mi trascinerà nella sua orbita. Queste sono parole sue!" (Eterna Roma 2006, p. 204). "E Montanarini ha fatto il bozzetto?", gli chiedeva l'amico Emilio Caucigh l'8 dicembre seguente (Corrispondenze a Nord Est 2008, p. 245). I lavori dovevano essere in fase avanzata nell'estate dell'anno successivo, poiché Montanarini scriveva a Furlan il 7 luglio 1942: "Ho fatto un gran passo decisivo per il lavoro al Foro, al mio ritorno (circa 15 agosto) riattacco e finisco" (Dagli amici 2006, p. 145). Il suo ritorno però si faceva attendere e l'amico scultore lo esortava ad anticiparne la data, scrivendogli quella stessa estate che Canevari aveva già presentato la fattura per il suo dipinto, “un «mandatino» di 4.000” che corrisponde probabilmente alla stessa cifra percepita da Montanarini (Ibidem, p. 153). “Starace bestemmia per la tela”, riferiva ancora Furlan, indicando così nel gerarca che fu presidente del CONI fino al 1939 e poi, fino al maggio 1941, capo dello stato maggiore della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (e non è quindi da identificare con un omonimo collaboratore di Moretti come è stato erroneamente supposto) il committente dell'opera (Ibidem, p. 153). "La parete del Foro non è la barriera russa! - continuava la lettera -. Arrampicati sul ponte e sfonda" (Ivi). "Novità nessuna - gli scriveva Montana rini il 25 agosto - solo che devo e voglio concludere il lavoro al Foro subito nel mese di settembre e in maniera magistrale..." (Ibidem, p. 163). “Impiegai un mese per l’esecuzione, lavorando giorno e notte”, avrebbe rievocato l'artista molti anni più tardi, aggiungendo col senno di poi: “Io non ho mai dato un significato eccessivo a quest’opera. Avevo pensato di mantenere l’anonimato, oppure di firmarla provocatoriamente con il nome del portiere dello stabile in cui abitavo […]”. Il silenzio che segue sulla storia dell'opera riflette il precipitarsi degli eventi: la caduta in disgrazia di Starace, poi la caduta del regime, lo sbarco degli anglo-americani ad Anzio e la Liberazione; eventi che spiegano anche la damnatio memoriae alla quale fu condannata nel dopoguerra. Gli alleati, che utilizzarono il Palazzo H come quartier generale del Comitato di Liberazione, occultarono il dipinto nel 1944 (dietro una tenda blu più tardi sostituita, con il passaggio del Foro alla gestione del Comitato Olimpico Nazionale Italiano nel 1951, con un panno verde). L'occultamento durò cinquantatré anni, trovando fine solo nel 1997, quando, su sollecitazione del sovrintendente ai Beni Architettonici, Francesco Zurli (nota del 21 dicembre 1996, protocollo n. 18532, diretta a Mario Pescante), il CONI lo fece rimettere in luce e restaurare (cfr. a questo proposito l'interrogazione parlamentare sui ponteggi del senatore della Lega Nord Massimo Wilde del 17 settembre 1997). Le polemiche sul dipinto, visto da molti come uno specchio pericoloso per un’Italia che non ha ancora chiuso tutti i conti col fascismo, sono assai vive; non ultima la Protesta scritta di Roland Lang, presidente del “Südtiroler Heimatbundes”, nel luglio 2013, secondo la quale esso “inneggia soprattutto alla guerra d’aggressione fascista”
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1201205519
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Roma
  • DATA DI COMPILAZIONE 2014
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2022
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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