Ercole e Lica. scena mitologica
scultura,
1795 - 1815
Canova Antonio (possagno, Treviso, 1757 / Venezia 1822)
Possagno, Treviso, 1757 / Venezia 1822
Ercole ritratto nell'atto di afferrare Lica per poi scagliarlo via
- OGGETTO scultura
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MATERIA E TECNICA
Marmo
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MISURE
Profondità: 175
Altezza: 350
Larghezza: 215
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ATTRIBUZIONI
Canova Antonio (possagno, Treviso, 1757 / Venezia 1822)
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo delle Belle Arti
- INDIRIZZO Viale delle Belle Arti 131, Roma (RM)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Dopo il successo riscosso a Napoli con la scultura Venere e Adone, eseguita per il marchese Francesco Berio nel 1795, Antonio Canova ottenne dal principe Onorato Gaetani d'Aragona la commissione per un gruppo marmoreo raffigurante Ercole e Lica. La celebre statua dell'Ercole Farnese, portata a Napoli dai Borboni nel 1787 ed esposta nel Palazzo del Real Museo, avrebbe dovuto costituire il modello antico di riferimento per la nuova opera canoviana. Oltre che da esemplari della statuaria antica (l'appena ricordato Ercole Farnese) e moderna (quali la Furia di Atamante, scolpita da John Flaxman a Roma fra il 1790 e il 1794), Canova poté trarre ispirazione da alcuni testi letterari: infatti, le vicende relative al tema di Ercole e Lica furono narrate da Sofocle nelle Trachinie, riprese da Seneca nell'Ercole sul monte Oeta e quindi da Ovidio nelle Metamorfosi. Ercole, divenuto pazzo per aver indossato la tunica avvelenata col sangue del centauro Nesso, inviatagli per vendetta dalla gelosa moglie Deianira tramite l'ignaro Lica, afferra quest'ultimo per un piede e, dopo averlo fatto roteare sopra la sua testa, lo scaglia nel mar Egeo, dove il corpo del giovane sventurato viene tramutato nell'arcipelago delle isole Licadi. Le vicissitudini politiche ed economiche verificatesi nel Regno di Napoli alla fine del secolo, sommate con le ripetute incomprensioni fra artista e committente, portarono il principe Gaetani a ritirarsi dall'impegno, sebbene Canova avesse già eseguito il bozzetto in creta (visibile nel Ritratto di Canova eseguito da Angelika Kauffmann tra il 1795 - 96, conservato in collezione privata) e il modello in gesso grande al vero (oggi alla Gipsoteca di Possagno). L'Ercole e Lica rimase pertanto nello studio romano dello scultore fino a quando, nel 1801, il facoltoso banchiere Giovanni Raimondo Torlonia, duca di Bracciano, ne commissionò la traduzione in marmo per un costo di 18.000 scudi. Il completamento della scultura avvenne soltanto nel 1815, anno in cui poté essere collocata nella galleria situata al primo piano del palazzo - iniziato nel 1678 su progetto di Carlo Fontana - che Giovanni Torlonia aveva acquistato dai conti Bolognetti in piazza Venezia a Roma. Lo stesso Canova disegnò l'edicola, sorretta da colonne e con calotta a cassettoni, entro cui fu sistemata la sua opera (cfr. Iozzi, 1902, p. 68).A partire dagli anni Trenta dell'Ottocento, per volontà di Alessandro Torlonia - il quale si avvalse della collaborazione dell'architetto e pittore Giovanni Battista Caretti - il palazzo fu trasformato in vera e propria dimora principesca. I mutamenti riguardarono anche la galleria dell'Ercole, la cui volta venne ricoperta dagli affreschi, illustranti scene mitologiche, eseguiti da Francesco Podesti e da Francesco Coghetti. In essa, inoltre, furono sistemate dodici statue neoclassiche, commissionate dallo stesso Alessandro Torlonia, raffiguranti divinità dell'Olimpo: una sorta di religioso corteo il cui compito era quello di ritmare il percorso che conduceva al monumentale gruppo canoviano (cfr. schede NCTN da 00828203 a 00828214). La raccolta Torlonia fu ceduta alla Stato italiano nel 1892, allorché fu deciso di demolire l'edificio di piazza Venezia per attuare i nuovi progetti urbanistici connessi alla costruzione del Monumento a Vittorio Emanuele II. Tre anni dopo, nel 1895, le sculture e i dipinti appartenuti ai Torlonia furono aggiunti alla ex collezione Corsini, andando a comporre il fondo della Galleria Nazionale d'Arte Antica, istituita in quello stesso anno con sede in Palazzo Corsini alla Lungara. L'Ercole e Lica, invece, rimase nel Palazzo Torlonia e soltanto nel 1901 fu trasportato a Palazzo Corsini. Tale ritardo testimonia le complesse vicende museali che interessarono in quegli anni il pezzo canoviano - caparbiamente conteso tra Adolfo Venturi, allora direttore della Galleria Nazionale d'Arte Antica, e Francesco Jacovacci, direttore della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, a quel tempo ospitata al Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale (cfr. Borsellino, in Prospettiva, 1989-90, pp. 409-418). Una volta giunta a Palazzo Corsini, la scultura fu provvisoriamente collocata sotto l'ultima arcata del portico settentrionale interno dell'edificio, luogo di pertinenza dell'Accademia dei Lincei. Nel 1907 fu poi sistemata in una sala appositamente costruita dall'architetto Gustavo Giovannoni al primo piano dello stesso edificio, sul terrazzo prospiciente il giardino.Dopo soli dieci anni di permanenza nella nuova sala di Palazzo Corsini, il travagliato iter della scultura di Canova si concluse nel 1917 con l'ingresso nell'edificio costruito da Cesare Bazzani a Valle Giulia, dal 1911 sede definitiva della Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Qui, negli anni Cinquanta, in parallelo alla sfortuna critica (Longhi, Brandi) del gruppo statuario, fu rimosso dal grande salone centrale e collocato nel retrostante corridoio di disimpegno tra le due ali del museo. [Continua nelle Osservazioni]
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1200828202
- NUMERO D'INVENTARIO 4140 (G.N. Arte Antica)
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma
- ENTE SCHEDATORE Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma
- DATA DI COMPILAZIONE 2011
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0