Dio Padre con Cristo la Madonna e Santi

pala d'altare,

Personaggi: Padre Eterno; S. Giovanni Battista; Gesù Cristo; Madonna; angeli; Santi; uomini; S. Florido; S. Amanzio; S. Domenico; S. Francesco. Architetture: Castel S. Angelo. Attributi: ( Madonna) corona;( Dio Padre) globo cruciferato

  • OGGETTO pala d'altare
  • ATTRIBUZIONI Pacetti Giovanni Battista Detto Sguazzino (1593/ 1670 Ca): Autore
  • LOCALIZZAZIONE Città di Castello (PG)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto venne commissionato al pittore Giovan Battista Pacetti detto lo Sguazzino dal gonfaloniere Giovan Battista Ranucci per la fine della Pestilenza che aveva colpito Città di Castello nel 1630 così come indicato dagli Atti Capitolari dello stesso anno, dove appunto risulta che il Ranucci chiede di poter dotare e ornare di pitture una cappella.La Sarteanesi (1980-81) sistemando il catalogo del pittore tifernate Pacetti, ha ipotizzato l'esecuzione dell'opera in esame entro il 1631, tenendo conto che il dipinto è un ex voto e che il pittore era puttosto sollecito nell'eseguire le commissioni come testimonia il suo appellativo, in un certo senso negativo che bene spiega come per la fretta talora "sguazzazze col colore", come risulta dalla notevole differenza di qualità della sua copiosa produzione soprattutto a Città di Castello (Sarteanesi).La studiosa ha circoscritto la sua vita in un arco di tempo compreso tra il 1593, anno di nascita che risulta dai Libri Battesimali della Cattedrale cittadina, e il 1667, quando ultimò le lunette per il chiostro di S. Domenico sempre a Città di Castello.Esaminando poi gli Atti Capitolari del 1600 alla studiosa risulta che dopo il 1670 non si ha più traccia dell'attività del Pacetti che probabilmente morì di lì a poco.La figura del S. Michele Arcangelo che si vede sullo sfondo in atto di riporre la spada nel fodero, allude alla leggenda sacra che vuole che egli apparisse, al tempo di Gregorio Magno, sopra la Mole di Adriano a Roma come segno della fine della peste.Il dipinto è ricordato dalla storiografia locale, Titi 1686, Certini 1725, Andreocci 1829, Mancini 1832, quest'ultimo sottolineando la "strapazzata maniera" di esecuzione ricordando insieme ai Santi Florido ed Amanzio in primo piano i Santi fondatori degli ordini regolari che in città ottennero Conventi ed Ospizi.Il dipinto si presenta con un'impostazione tradizionalistica per l'impianto piramidale, con un atteggiamento chiaramente devozionale, aderente in pieno al gusto della Controriforma, che in Umbria si richiama principalmente a quella devozione passata tipica della produzione quattro-cinquecentesca di cui uno degli esponenti principali fu Santi di Tito ripreso poi da Durante Alberti.Probabilmente il Pacetti guarda molto all'Alberti, rappresentante di un'arte ormai tra ultimo manierismo e pittura di Controriforma, la cui pittura devozionale e pietista è rappresentata con figure prostate, in ginocchio, con braccia aperte, realismo devoto che il Pacetti cercherà di superare quando verrà a contatto con il nuovo linguaggio seicentesco propriamente classico, di cui non sempre però riuscirà ad appropriarsi per intero con ricadute e passi indietro (Sarteanesi).La studiosa in questo dipinto individua precisi richiami all' "Adorazione dei Magi" dipinta da Durante Alberti per la cattedrale di Sansepolcro dove però le figure di S. Giuseppe e dei pastori mostrano una vena devozionale più sinceramente sentita, e più ancora col dipinto dello stesso a Case Sparse presso Norcia rappresentante la "Madonna col Bambino in trono, S.Chiara e S. Francesco".Nell'opera in esame è evidente come lo Sguazzino dall'Alberti riprese quella formula di pittura sacra di immediata comunicativa devota fondata su una gamma cromatica raffinata che un buon restauro metterebbe in giusto rilievo.Le figure di maggior rilievo sono quelle dei patroni di Città di Castello in primo piano la cui importanza sul resto della composizione è sottolineata, a mio parere, dalla preziosità data alle vesti, forse anche con un tentativo di ambientazione storica per la presenza sulla tonacella di S. Amanzio delle due scene con l' "Annunciazione" e la "Natività", legati ancora al clima tardo-classicista ma allo stesso tempo proiettati in senso controriformistico sottolineando in questo modo la centralità della figura della Madonna.Il piviale di S. Florido colpisce per la sua sontuosità di chiaro richiamo quattrocentesco in quanto sembra essere di velluto, stoffa che, specie nella tintura in rosso scarlatto, vede il suo trionfo nel '400, tralasciando il lampasso trecentesco.Il velluto, in questo caso, nel contrasto di profondità dei toni dell'unico colore, risponde al contrasto dei diversi piani di profondità, facendo intendere il tessuto non più come un'opera miniata bensì come un bassorilievo.E così appunto appare questo piviale, reso ancora più prezioso dallo stolone dorato che si contrappone al rosso del piviale e dalle pietre preziose del fermaglio e della mitria ornata da ricamo con perle e pietre preziose entro bordure perlate, decorazione similare allo sfondo di un dipinto oggi alla Pinacoteca cittadina "Mezza figura di Cristo con segni della Passione", di ignoto del XV secolo, a testimonianza di come la produzione artistica di alto livello, Raffaello, Perugino, Signorelli ed altri, presente a Città di Castello, costituì testo di facile consultazione in grado di affascinare qualsiasi pittore e tanto più una personalità apprezzabile come il Pacetti
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1000132621
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico dell'Umbria
  • DATA DI COMPILAZIONE 1975
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 1997
    2006
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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