Paesaggio con sepolcro all'antica e figure che giocano. paesaggio con lago, rovine e figure
dipinto,
Sullo sfondo verde scuro della vegetazione si apre l'azzurro chiaro del lago e del cielo. Al centro e a destra, rovine architettoniche, costruzioni e numerose figure. Sulla collina, la chiesa è una derivazione di Sant'Andrea sulla via Flaminia. Cornice intagliata a grandi volute di foglie d'acanto, un tempo dorata e ora ridipinta di scuro (2022: cornice non reperita)
- OGGETTO dipinto
- AMBITO CULTURALE Ambito Emiliano-romagnolo
- LUOGO DI CONSERVAZIONE palazzo Prati Savorelli
- INDIRIZZO corso Armando Diaz, 49, Forlì (FC)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Si tratta di una copia del “Paesaggio con sepolcro all’antica e figure che giocano” che Frans Van Lint Hendrik realizza con Pompeo Batoni tra il 1710-1763 circa (cm 31.5 × 42, Roma, collezione privata). Come indica il catalogo on line della Fondazione Zeri, l’opera originale proviene dalla collezione Merenda di Forlì (n. scheda 63014). Edgar Peters Bowron conferma le due firme e titola la pittura “Ideal Landscape with an Antique Altar”. Circoscrive l’esecuzione tra il 1735 e il 1737 circa, indica misure diverse (cm 46 x 72) e non menziona, come invece la Zeri, la collocazione temporanea presso la collezione Sestieri di Roma. Si fa dunque avanti qualche dubbio sull’esistenza di più versioni, autografe o meno, alle quali aggiungere quella dell’Istituto Prati. Ad ogni modo, Bowron ribadisce la presenza della tela, dal 1740 circa, nel palazzo forlivese del conte Cesare Merenda, uditore del cardinale Francesco Borghese, e del fratello Giuseppe, architetto e cavaliere militare di giustizia dell’Ordine Gerosolomitano di Malta. A seguito di un disastroso bombardamento nel 1944, il dipinto viene spostato nella Villa Merenda-Salecchi a Monda con il suo pendant “Ideal Landscape with Bacchanalian Figures”. Le due opere per discendenza famigliare sono mantenute fino a circa il 1958 per poi passare, come buona parte della raccolta, sul mercato antiquariale. Guidati in particolare dalla passione per il classicismo emiliano e bolognese, ma anche per gli esiti del barocco e rococò romano, i fratelli Merenda costituiscono nel tempo una cospicua e prestigiosa raccolta, tant’è che intorno al 1756 vanta circa 500 pezzi. Nella “Guida per la città di Forlì” del 1838, Casali afferma che i nobili ambienti della residenza Merenda sono animati da opere di Guido Reni, del Guercino, del Tintoretto, di Andrea Sacchi, di Pietro da Cortona, di Nicolas Poussin e altri ancora. Una importantissima sezione è rappresentata dai lavori di Batoni, di cui Cesare è protettore e profondo estimatore (cfr. A. De Lillo, Giuseppe Merenda, Dizionario Biografico degli Italiani, CXXIII, 2009; treccani.it). Come accennato sopra, la collezione rimane praticamente intatta fino alla dispersione innescata dagli eventi della seconda guerra mondiale, imponendosi come esempio di gusto per le altre casate forlivesi. Seppur le carte settecentesche tacciano sulla fisionomia della collezione Prati Savorelli (ad esempio, le cronache e le guide locali o i resoconti dell’Oretti), è in tale contesto che si inserisce probabilmente una loro esigenza culturale che la raccolta Merenda senz'altro può soddisfare. “Paesaggio con sepolcro all’antica e figure che giocano” restituisce l’eco dei paesaggi idealizzati di Claude Lorrain, i cui motivi prediletti spesso si confondono negli accostamenti ancor più pittoreschi. Senza dimenticare le soluzioni poussiniane: proprio in un paesaggio dell’artista normanno due figure abbigliate all’antica conversano davanti a un monumento sepolcrale simile al presente (Kiew, Khanenko Museum). La sapiente regia di elementi e di richiami all’età dell’oro in una natura pacificata decreta la popolarità del fiammingo Van Lint - come quelle di Gaspar van Wittel e di Jan Frans van Bloemen - negli ambienti romani e tra i committenti stranieri del Grand Tour. Il fiammingo dimostra, difatti, una straordinaria abilità nel cogliere lo spirito arcadico dei paesaggi di Claude e dei maestri classicisti, che ha avuto modo di studiare direttamente in alcune collezioni capitoline. Nutre inoltre una predilezione per le vedute panoramiche con sorgenti d’acqua; non solo dipinge scorci naturalistici attorno alle rive del Tevere e dell’Aniene, ma ci ha consegnato le bellezze della costa vicino a Roma, delle quali si è avvalso sia per le scene realistiche sia per quelle di fantasia. Batoni collabora con Van Lint e altri paesaggisti in diverse occasioni, realizzando le cosiddette “figurine” e fornendo suggerimenti su come gestire gli imprescindibili modelli di riferimento, quali ovviamente Raffaello, Carracci, Reni, Domenichino e Poussin. I due artisti raggiungono così nella prima metà del Settecento un ideale classicizzante insuperato per chiarezza e precisione. La profonda stima dei contemporanei è fornita, inoltre, da un inventario settecentesco di Palazzo Rondanini, Roma, in cui sono elencati “Due quadri, palmi tre per alto rappresentanti Paesi con favole e figure di Pompeo Batoni e paesi di Monsù studio [stima 120 scudi]” (Busiri Vici 1987, p. 202). Va notato, tuttavia, che verso la fine degli anni trenta Van Lint diventa sempre più autonomo nei riguardi delle figure, pur attingendo dalle tipologie e soluzioni batoniane. Calzini, nel suo giro per le sale di Palazzo Merenda, si sofferma un attimo su “alcuni paesaggi detti di scuola francese. Stanno in questo luogo, come altri piccoli quadri nelle altre sale, negli interstizi tra una quadrone ed un altro, tanto per riempire gli spazi. Ciò non toglie che non si guardino assai volentieri, tanto sono ben fatti. Gruppi di figurine sparsi sui monti, per le stradine delle montagne, o in riva ai fiumi, evidenti, piene di vita e di movimento si credono dipinte dal Batoni quando dovrà trovarsi per qualche tempo in Casa Merenda. E questa è una pura tradizione; del resto troppo difficile sarebbe voler riconoscere la mano di un pittore di figurine microscopiche da guardarsi col sussidio della lente.” (E. Calzini, La galleria Merenda in Forlì e le pitture del Batoni in essa contenute, in Arte e storia, XV (1896), 17, pp. 129-130). In realtà, a conferma di questa produzione collaterale dell’artista lucchese concorre il ritrovamento a Filadelfia di un suo taccuino di disegni, dove scorrono ‘idee’ per comporre gruppi di “figurine” da inserire nelle ‘favole’ bucoliche (A. M. Clark, A supply of ideal figures, in «Paragone», XII (1961), 139, p. 57, n. 15; cfr. Bowron, I, 2016, p. 13). Assieme alla “Flora”, il paesaggio con antico sepolcro è il secondo caso accertato in Palazzo Prati Savorelli della derivazione da un’opera che Batoni realizza per i Merenda. Suscettibile di approfondimento è dunque il legame tra le due famiglie, sostenuto da una certa concordanza in fatto di gusto e predilezioni artistiche. Sicuramente è ipotizzabile da parte dei Prati e/o dai Savorelli Muti Papazzurri (i due rami si imparentarono nel 1863) la ricerca di uno scambio con esponenti del patriziato locale più aggiornato e avvertito culturalmente. In definitiva, l’esigenza per loro di stare al passo con le novità linguistiche scaturite innanzitutto dall’attività del Cignani a Forlì, dove tra l’altro Giuseppe Merenda consegue la prima formazione artistica. Nella città romagnola, dal 1740 sede della colonia arcadica degli Ieneutici (M. Maylender, Storia delle Accademia d’Italia, III, Bologna 1929, pp. 134-135), si innesca dunque una osmosi tra l’indirizzo emiliano con quello romano, sempre più attratti da un ideale di classicità e razionalismo
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà privata
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800052300
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
- DATA DI COMPILAZIONE 1992
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2022
2006
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0