Adorazione del bambino. Adorazione del bambino
pala d'altare dipinta
1500 - 1510
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
1480 ca./ 1555
Il dipinto raffigura la Madonna inginocchiata in adorazione del bambino, insieme a quattro santi. Tra di essi, sono riconoscibili san Giovanni evangelista e san Francesco a sinistra, le sante Anna, con vicino san Giovannino, e Chiara a destra. Alle spalle del gruppo, si sviluppa un paesaggio montuoso e, a destra nel fondo, si intravede la crocifissione
- OGGETTO pala d'altare dipinta
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Elencando i dipinti esistenti nella chiesa di Santa Chiara, Bartolomeo Dal Pozzo segnalava sull’altare laterale sinistro una pala di Paolo Farinati raffigurante i "Santi Bartolomeo, Girolamo e Chiara" (firmata e datata 1569, è conservata nei depositi del museo), aggiungendo che «il quadro, che vi sta di sopra per finimento di quell’Altare è di Francesco Carotto» (1718, p. 226). Dal Pozzo e le altre fonti settecentesche non spendono una parola sul suo soggetto. Per avere delle indicazioni più precise occorre attendere il "Catastico" di Saverio Dalla Rosa, che lo descrive come una «Natività del Signore con Pastori in adorazione, opera rara» (ed. 1996, p. 163). Si aprono a questo punto due ipotesi: identificarlo senz’altro con il nostro dipinto, osservando che la collocazione elevata e l’offuscamento potevano facilmente indurre in errore, facendo scambiare un gruppo di santi inginocchiati con altrettanti pastori. Oppure, sulla scorta dei vecchi cataloghi che registrano una provenienza dall’annesso monastero, pensare a due opere distinte, considerando perduta quella già esposta in chiesa (Franco Fiorio 1971, p. 112). Ma un dilemma più grave riguarda la possibilità di identificare «una creazione poco appariscente eppure meravigliosa», come la descrisse Jacob Burckhardt (ed. 1952, p. 1036), «una delle più belle opere del Carotto, eseguita con estrema diligenza», come la giudicò Cesare Bernasconi (1864, p. 294), con la tela che vediamo oggi. Un verbale di restauro del giugno 1857 mostra un dipinto in condizioni tutto sommato discrete: «da pochi anni fu foderatto e pulito nell’aria per cui disarmonizza con le figure in fuligine, è quindi necessario di pulirlo un poco per ottenere l’armonia». Si segnalano anche piccole mende e alcuni ritocchi. Vecchie foto mostrano un’opera in condizioni molto migliori delle attuali (Alinari 43618, Anderson 12409, Brogi 14617). Poiché essa fu esposta a Castelvecchio fino al restauro di Giovanni Pedrocco, nel 1970, sorge il dubbio che sia stato questo intervento a provocare il disastro. Ma per chiarire questo punto occorre soffermarsi brevemente su alcune questioni di natura tecnica. Come ricordato da Gianni Peretti (2010, p. 391), i risultati degli ultimi restauri hanno mostrato che Caroto eseguiva gran parte dei suoi dipinti su tela utilizzando leganti a tempera. Non solo tempere all’uovo, ma talora, seguendo anche in questo le orme di Mantegna, tempere di colla animale – «guazzi», avrebbe detto Vasari – caratterizzate da colori opachi e spenti, come in un affresco, ma con risultati di grande finezza e ‘diligenza’. Nelle vecchie carte salate l’"Adorazione di Castelvecchio" appariva scura e polverosa ma ricca di particolari e con effetti di rilievo quasi da scultore ligneo, per esempio nei sottosquadri del panneggio. Caroto soleva lavorare su tele a trama piuttosto fitta, sulle quali stendeva a pennello una preparazione di gesso e colla molto sottile e liquida, che veniva quasi interamente assorbita (cfr. le relazioni in Marinelli 1987). Queste tempere magre rifiutano la verniciatura finale (la mancanza di vernice è stata riscontrata per esempio nella pala di Marega; Ericani 1988, p. 267), che avrebbe alterato e scurito i colori, e che forse veniva sostituita da una stesura protettiva di cera. Esse pertanto sono estremamente fragili, e in particolare risultano sensibili a tutte le sostanze in diluizione acquosa: quindi non solo una pulitura inadeguata, anche gli adesivi impiegati per foderare la tela possono provocare danni irreparabili. Giovanni Pedrocco, da parte sua, era solito intervenire con mano piuttosto pesante, come possono testimoniare le disastrose condizioni del "Cristo deposto" attribuito a Francesco Morone. In queste condizioni non è facile azzardare una datazione convincente per il dipinto; tuttavia la dipendenza tecnica ed espressiva da modelli del Mantegna tardo induce a ritenerlo un prodotto giovanile e a collocarlo nel primo decennio del Cinquecento. L'ipotesi non è contraddetta dalle analogie che si possono riscontrare con alcune soluzioni compositive adottate da Lorenzo Costa in opere di analogo soggetto - anche se non si saprebbe indicare nessun prototipo preciso. Ritroviamo le figure della Madonna e del bambino in un dipinto di Antonio Solario allo Statens Museum for Kunst di Copenaghen (Franco Fiorio 1971, p. 29). Questa circostanza è imputabile probabilmente alla comune dipendenza da modelli di Costa piuttosto che a un rapporto diretto tra i due artisti. (da Gianni Peretti 2010, p. 391)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717796
- NUMERO D'INVENTARIO 1359
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0