I tre arcangeli. I tre arcangeli

pala d'altare dipinta 1512-1513

Il dipinto rappresenta gli arcangeli Michele, a sinistra con la spada, Raffaele, al centro assieme a Tobiolo, e Gabriele, a destra con il giglio. Alle loro spalle, un paesaggio con città

  • OGGETTO pala d'altare dipinta
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La pala firmata con i “Tre Arcangeli” fu eseguita per l'altare della cappella della famiglia Spolverini Dal Verme in Sant'Eufemia, decorata ad affresco dall'artista con episodi della “Storia di Tobiolo e dell'arcangelo Raffaele”. Lateralmente il dipinto era affiancato da due tele più tarde, raffiguranti "Santa Lucia" e "Sant'Apollonia", attribuite variamente a Giovan Francesco o al fratello Giovanni (cfr. Pietropoli 2002, pp. 54-66). La pala giunse al Museo nel 1878 e venne sostituita nella cappella con una copia di Gaetano Miolato nel 1934. La vicenda del suo ingresso nelle collezioni civiche suscitò non poco sconcerto dal momento che il dipinto fu usato come merce di scambio dalla Fabbriceria di Sant'Eufemia che, per ampliare la sacrestia, desiderava entrare in possesso di un piccolo edificio confinante di proprietà comunale. La cessione concordata con il Municipio sollevò la pubblica protesta del canonico Luigi Gaiter, che in un articolo uscito sul "Giornale di Verona" il 14 aprile 1878, lamentò la poca convenienza della permuta (la scheda d'archivio del museo indica che l'atto di delibera è registrato in un Resoconto morale dell'Amministrazione del Comune di Verona, da 1 Gennaio a 31 Dicembre 1878, stampato dalla Tipografia Franchini, irreperibile). Nel descrivere il dipinto, Vasari ricordava con precisione le circostanze della committenza: «Essendogli poi allogato dagl’uomini che governavano la Compagnia dell’agnol Raffaello una loro capella nella chiesa di Santa Eufemia, vi fece dentro a fresco due storie dell’agnolo Raffaello, e nella tavola a olio tre Agnoli grandi, Raffaello in mezzo e Gabriello e Michele dagli lati, e tutti con buon disegno e ben coloriti» (Vasari 1568, ed. 1976, p. 569). Le notizie offerte dalle “Vite” trovano conferma negli studi di Alessandro Serafini che dimostrano come alla fine del Quattrocento, fino al 1574, la cappella fosse stata “compiciuta” (sic) dalla famiglia Spolverini Dal Verme all’Arte dei merciai e degli speziali, di cui l’arcangelo Raffaele era protettore. Bisogna, inoltre, ricordare che anche lo stesso Caroto era qualificato dalle anagrafi contradali – anche se solo dal 1529 – come “speciarius”, annoverato dai Capitolari dell’Arte come proprietario, insieme al figlio Bernardino, di una farmacia situata in piazza delle Erbe (Serafini 2009, pp. 44-46). Per quanto riguarda la cronologia, se Franco Fiorio (1971, p. 92 e Rossi 2010, p. 393) datava la pala attorno al 1520 in coincidenza con il rientro del pittore a Verona dalla corte di Casale a seguito della morte del marchese di Monferrato, la critica più recente, invece, ha proposto di anticipare la datazione di circa un decennio (Pelosi 2020, pp. 60-62). Sulla scorta di quanto indicato da Vasari, che riferiva la realizzazione dell’opera all’attività giovanile dell’artista al ritorno da Mantova, tale datazione pare più opportuna anche grazie al confronto con l’"Annunciazione" affrescata da Giovan Francesco nell’oratorio gesuato di San Girolamo, opera riferibile con sicurezza al 1508 in virtù dell’iscrizione che riporta il nome del pittore e la data. Chiamato a confrontarsi nuovamente con la tradizione artistica veronese, nella tavola Caroto ne fornì un’interpretazione arricchita dalle esperienze maturate nella Mantova del primo decennio e ai primi contatti in corso sia con la scena artistica milanese, sia con quella lagunare. Daniele Pelosi notava che la disposizione in primo piano dei tre arcangeli, ancora ossequienti alla “solenne rigidità” della maniera di Mantegna (Romani 2008, p. 411), risulta «armonizzata attraverso una sapiente variatio stilistica, che Caroto dispiega mediante il ricorso consapevole al variegato vocabolario figurativo che andava costruendo in quegli anni» (2020, p. 60). Ad una prima ricezione degli stilemi della cultura artistica milanese riconduce la figura di Gabriele: la fisionomia del volto rimanda a prototipi zenaliani, mentre l’accentuata gestualità delle mani costituisce l’esito di una preliminare assimilazione dell’esempio leonardesco. Raffaele richiama i modi del classicismo dolce di matrice emiliana, recepiti da Caroto per il tramite mantovano di Lorenzo Costa. Nel san Michele si ravvisa un precoce dialogo dell’artista veronese con i modelli di Giorgione, in particolare con il san Nicasio della pala di Castelfranco e con la “Giuditta” dell’Eremitage. A favore della datazione anticipata, alle considerazioni stilistiche si aggiunge un documento che registra Caroto tra i testimoni di un atto di locazione rogato nel chiostro del monastero di Sant’Eufemia il 23 luglio 1512, data a cui si può ancorare il suo impegno nella cappella Spolverini Dal Verme. Se per gli affreschi pare lecito ipotizzare una realizzazione di poco antecedente, gli elementi stilistici impongono di collocare l’esecuzione della tavola a ridosso del 1512, data dopo la quale il pittore, assente dalle anagrafi e dagli estimi del 1514-1515, compì il soggiorno milanese. ||||(da Francesca Rossi 2010, p. 393)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717795
  • NUMERO D'INVENTARIO 1360
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • ISCRIZIONI in basso a destra - .F. CAROTVS. P - capitale -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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