L'arcangelo Michele caccia Lucifero. L'arcangelo Michele caccia Lucifero
dipinto
ca 1530 - ca 1534
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
1480 ca./ 1555
Su uno sfondo di nubi sovrastanti un paesaggio infuocato, il dipinto raffigura l'arcangelo Michele nell'atto di cacciare Lucifero
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Un’atmosfera di pura astrazione pervade lo spazio di questa rappresentazione dell’antagonismo tra l’arcangelo Michele e il suo rivale Lucifero, le cui vigorose corporature si contorcono in pose acrobatiche sospese a mezz’aria, sullo sfondo di un cielo rigonfio di nubi bianche o già annerite dai fumi che risalgono dalle fiamme degli inferi sottostanti. Il dipinto è pervenuto al museo dalla collezione di Cesare Bernasconi con altre sette opere di Giovan Francesco Caroto di sicura autografia. A questo gruppo apparteneva anche la “Tentazione di Cristo” (n. inv. 1362-1B0112) una tela simile per stile, soggetto e formato, insieme alla quale, con una tela allo Szépmuvészeti Múseum di Budapest (inv. 1043, 86 x 127,5 cm; Tátrai 1991, p. 20) e un ottagono da soffitto donato a Castelvecchio nel 2019 (inv. 50974-1B4173, Eberhardt 2008, pp. 325-344), doveva far parte di un ciclo decorativo destinato all’arredo di palazzo Della Torre nella contrada di Sant’Egidio (in proposito si veda la scheda inv. 1362-1B112). L’adesione alla cultura romana accomuna le opere citate, ma non tanto nell’impronta raffaellesca filtrata dal plasticismo di Giulio Romano, cui troviamo in genere legata la pittura di Caroto, quanto piuttosto in una sfaccettatura insolita nella sua produzione che rimanda a un rapporto più immediato con gli scorci e le muscolose figure serpentinate del Michelangelo della Sistina. Secondo Francesca Rossi (2010, p. 407), l’interpretazione della scena risente indubbiamente della mancanza della felice suggestione paesaggistica che dà il respiro e la compiutezza di un soggetto autonomo al “Cristo tentato”, suggerendo l’idea di un frammento leggibile correttamente solo all’interno della sequenza di un più ampio ciclo pittorico. Lo stesso discorso vale anche per la tela di Budapest, raffigurante la sola figura di Michele pronto a sferrare il colpo di spada. Tuttavia, il dipinto si mostra qualitativamente più debole del compagno anche per le peggiori condizioni conservative, evidenziate già da Carlo Ferrari nel catalogo della galleria Bernasconi (1871): «questo quadro ha molto sofferto e subì molti ristauri, specialmente la figura del demonio». Nella tela in esame, Gianni Peretti (2020, p. 148) osservava che Michele e Lucifero si direbbero la stessa figura vista da due angolature differenti, l’una drappeggiata e l’altra nuda, così come i due angeli nella “Tentazione di Cristo” sembrano lo stesso manichino ruotato di 180 gradi. Inoltre, se si estende l’analisi ad altri elementi della serie, ci si accorge che la figura del Tempo nella “Veritas filia Temporis” è mostrata nella stessa posizione dell’angelo di sinistra nella “Tentazione” e dell’arcangelo Michele nel dipinto di Budapest. Secondo lo studioso, questa fitta serie di rimandi e autocitazioni rivelerebbe che Caroto conosceva il procedimento di utilizzare figurine di cera o di creta plasmate con le proprie mani e variamente disposte come modelli per le composizioni più complesse. In passato Wart Arslan ha segnalato, a proposito dell’opera in esame, l’affinità compositiva con la tela di analogo soggetto dipinta da Lorenzo Lotto (Museo della Santa Casa di Loreto, Arslan 1932, p. 211) e la critica successiva non mancò di sottolineare come negli anni trenta del Cinquecento le opere del pittore veneziano avessero esercitato un certo fascino su alcuni pittori veronesi tra cui Torbido e Giolfino. Tuttavia, in questo caso, bisognerebbe piuttosto supporre un rovesciamento dei rapporti, dal momento che il dipinto di Lotto risale all’ultimo periodo lauretano ed è di almeno vent’anni posteriore a quello di Caroto e, di conseguenza, non è azzardato ipotizzare che nella produzione matura e tarda di Lotto agiscano, forse solo a livello subliminale, alcuni ricordi di cose veronesi. Gianni Peretti (2020) ricordava, per esempio, che la pala con “Santa Lucia” di Jesi, compiuta nel 1532, riprende l'impaginazione e alcuni dettagli dalla “Strage degli Innocenti” dello stesso Caroto, uno degli sportelli d'altare dei Magi in San Cosimo, oggi agli Uffizi (cat. 3a-d) che fu, scrive Vasari, tra «le prime opere che facesse, uscito che fu di sotto al Mantegna». (da Francesca Rossi 2010, p. 407)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717785
- NUMERO D'INVENTARIO 1363
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0