Fuga in Egitto. fuga in Egitto

dipinto 1540 - 1540

Il dipinto raffigura la fuga in Egitto della Sacra famiglia. A destra, un angelo indica la via; seguono la Madonna che, seduta su un asino, sta allattando Gesù bambino e san Giuseppe con un bue. Alle spalle della Sacra famiglia, un paesaggio fluviale popolato da figure: a sinistra, due monaci sono raffigurati di spalle; a destra, due cavalieri con uno scudiero si addentrano nel bosco. In lontananza, a sinistra, una collina con un edificio arroccato e, a destra, un castello proteso verso il fiume

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • AMBITO CULTURALE Ambito Emiliano
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto fu reso noto nel panorama della storia dell'arte veronese molto tempo prima di entrare al Museo, quando Aleardo Aleardi, vedendolo nella collezione di Andrea Monga, nel 1853 lo incluse nella sua monografia su Cavazzola con entusiastiche parole di apprezzamento: «è un Idilio; è opera d'anima lieta», e lo illustrò, al pari delle altre opere in catalogo, con la traduzione incisoria trattane da Lorenzo Muttoni. Come Cavazzola fu quindi presentato da Bortolo Monga all'esposizione d'arte per la fiera di beneficenza di Verona del 1881 e soltanto al momento di passare nelle collezioni civiche l'attribuzione fu radicalmente ripensata nella direzione del veneziano Girolamo Santacroce (Vignola 1911). Successivamente, la fortuna del dipinto tornò a consolidarsi in ambito veronese nel novero delle opere assegnate ai Caroto, prima a Giovan Francesco, e infine alla personalità sfuggente del fratello Giovanni, confermando con ciò tutta l'incertezza di giudizio e di comprensione delle reali qualità del dipinto. L'iconografia ha certo un carattere singolare, poiché la Madonna in fuga sul dorso dell'asino viene raffigurata allattante, un motivo generalmente adottato per composizioni autonome del tema della Madonna con il bambino. Sono inoltre raffigurati due monaci in piedi a sinistra che danno le spalle al passaggio del gruppo evangelico ignari dell'evento, ciò probabilmente a indicare l'originaria destinazione conventuale del dipinto. Mancano di fatto elementi stilistici tangibili di un rapporto con la scuola veronese tra Cavazzola e i Caroto e così pure con i modi di Santacroce, anche se da un abile copista come quest'ultimo ci si vorrebbe aspettare di tutto. L'autore sembra invece doversi ricercare in un ambito emiliano di matrice dossesca ricco di suggestioni nordiche, come rivelano sia la concezione del paesaggio sia le figure. L'iconografia e il rapporto tra l'ampia veduta e i personaggi ricordano soluzioni dossesche derivate dalla cultura fiamminga patiniriana, in particolare la "Fuga in Egitto" di Coral Gables, Lowe Art Museum, University of Miami, a due mani, di Dosso e Battista, nella quale si ritrova un modo analogo di dipingere i tronchi nudi degli alberi spezzati in primo piano ma soprattutto il fondo terroso, dove la stesura del colore è pastosa e a campiture unite, con piccoli tronchi a macchia per definire i rilievi sassosi e i ciuffi d'erba. L'esemplare veronese richiama in più la classica partizione compositiva in due metà geograficamente distinte inaugurata da Patinir, uno schema che si tende a ricondurre iconologicamente alla contrapposizione agostiniana tra civitas Dei e civitas terrena (Falkenburg 1988): alla sinistra dell'albero centrale un sentiero conduce a un luogo di preghiera, il convento verso il quale sono in cammino i due monaci; alla destra, il sentiero lungo il quale avanzano due cavalieri e uno scudiero conduce alla vita mondana di una città. L'architettura di quest'ultima, che sembra affiorare dalle acque dell'ampio bacino di una marina come una mitica Atlantide, ideale e fantastica, non sembra tuttavia trovare riscontri in esempi emiliani e appare doversi riferire a modelli nordici tedeschi più che fiamminghi, probabilmente derivati da stampe. Le tre figure sul sentiero a destra paiono ancora accostabili a formule dossesche, in particolare quella dello scudiero a gambe divaricate, ma le esili e leggiadre corporature di Giuseppe, della Vergine e dell'angelo che li guida recano il segno di una svolta in un'età della maniera più avanzata, verso il 1540, come dimostra il vezzoso incedere dell'angelo in leggera torsione verso gli inseguitori, con lo spacco sulla veste che lascia scoprire la gamba destra, o ancora l'avvitamento all'indietro del capo di san Giuseppe. Alcuni curiosi dettagli sembrano costituire una sigla dell'ignoto artista: lungo la strada davanti al piano di posa dei fuggitivi è raffigurata una sequenza di ben cinque tronchi d'albero tagliati; poi, in un primo piano ancora più ravvicinato, è dipinto, come in una posa araldica, un cane con la zampa alzata rivolto nella direzione dei personaggi, al quale, si può notare osservando attentamente lo sfondo a sinistra, fa il verso della zampa l'altro cane che accompagna il pascolo sul monte in lontananza. (da Francesca Rossi 2010, pp. 448-449)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717740
  • NUMERO D'INVENTARIO 1370
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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