San Michele arcangelo e san Paolo. San Michele Arcangelo e San Paolo

polittico dipinto ca 1515 - ca 1515

1B0302: l'arcangelo Michele e san Paolo rappresentati a mezza figura. Alle loro spalle una colonna ed un portale di legno. 1B0307: I santi Pietro e Giovanni battista rappresentati a mezza figura, di profilo, rivolti a destra. Alle loro spalle una colonna ed un portone di legno

  • OGGETTO polittico dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
    tela/ pittura a tempera
  • ATTRIBUZIONI Morando Paolo Detto Cavazzola (1486/ 1522)
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Come l’"Incredulità di san Tommaso" dello stesso Morando (n. inv. 1393-1B0298), questa coppia di tele proviene dal monastero dell’osservanza francescana di Santa Chiara, soppresso e demaniato nel 1810, ed entrò nelle collezioni civiche fin dalla loro costituzione, nel 1812. «Dicesi poi che nel Coro, e nel Convento vi sieno molte Pitture buone», scriveva nel 1804 Saverio Dalla Rosa (ed. 1996, p. 163), che naturalmente non aveva avuto accesso alla zona di clausura e si limitava a elencare i dipinti presenti in chiesa e in sacrestia. Ignoriamo quindi quale fosse la sua primitiva collocazione, ma anche la sua funzione e l’assetto originario. Si direbbe infatti che le due tele siano frammenti di una composizione più ampia. Gianni Peretti (2010, pp. 450-451) notava come, attraverso gli sguardi e il linguaggio semplice ma eloquente dei loro gesti, san Paolo e san Giovanni battista dialoghino con qualcuno situato più in basso, con figure non più esistenti che abitavano probabilmente il mondo in abisso dei mortali. Non si può escludere neppure che in origine esse fossero unite tra di loro, dal momento che non c’è soluzione di continuità nel portone di legno che chiude al centro l’immagine, con i pesanti chiavistelli di ferro che proseguono da entrambe le parti. Non a caso nel 1926, in una sistematica campagna di restauri condotta in previsione del nuovo allestimento dei Musei d’arte a Castelvecchio e certamente su indicazione del direttore Antonio Avena, Attilio Motta ricucì insieme i due pezzi, che così rimasero fino al più recente intervento di Sergio Stevanato e Gabriella Favaro nel 1987. Altri dipinti erano entrati nelle collezioni comunali tagliati in due parti per facilitarne il trasporto, per esempio la pala di Caroto proveniente da Isola della Scala (nn. inv. 1368-1B0325,1368-1B0262). Perettti (2010) pensava, di conseguenza, ad un fregio su tela di circa tre metri di lunghezza (considerando la fascia che la recisione ha forse abolito nel mezzo, ma anche alle spalle di san Michele, dove manca il margine presente invece nel pendant), collocato in posizione molto elevata, come rivela lo scorcio fortemente ribassato dell’immagine, in rapporto con una perduta parte sottostante forse realizzata ad affresco e raffigurante (altra ipotesi tutta da dimostrare) un gruppo di devoti o, in considerazione del luogo, di monache in preghiera. In ogni modo, l’insieme doveva costituire, come scrive Sergio Marinelli (1987, p. 111), un’icona di probabile significato escatologico, nella quale i santi sono raffigurati come custodi della porta celeste (Pietro) e giudici delle anime (Michele), mentre Paolo e Giovanni battista compaiono nel ruolo di mediatori e intercessori. Se l’attribuzione a Paolo Morando è affatto pacifica e condivisa da tutta la letteratura, con l’eccezione di una fugace proposta per Michele da Verona avanzata da Giovanni Morelli (1880, 1891) e dal giovane Berenson (1907), la datazione dei dipinti può suscitare invece qualche dubbio e va forse anticipata rispetto a quella comunemente proposta, che è piuttosto tarda. A questo proposito, Peretti (2010) notava infatti alcuni elementi relativamente arcaici, che scompariranno nella produzione matura dell’artista: un panneggio inciso e tagliente, una resa dei capelli per ciocche anguiformi, come in Francesco Bonsignori, la scoperta emotività di alcune teste, la profusione dell’oro (nelle aureole, nell’elsa delle spade, nei piatti della bilancia e in altri particolari preziosi). Secondo lo studioso, questo linguaggio ancora acerbo, che può giustificare l’antica attribuzione a Michele, suggerisce di collocare le due tele in quel periodo ancora mal noto compreso tra l’"Annunciazione" della cappella di San Biagio nella chiesa dei Santi Nazaro e Celso (1510) e il "Polittico della Passione" per San Bernardino (1517); ma più prossime al secondo termine che al primo, e quindi intorno al 1515. (da Gianni Peretti 2010, pp. 450-451)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717738
  • NUMERO D'INVENTARIO 1388
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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