Cassettone da soffitto. Cassettone da soffitto
soffitto dipinto
ca 1505 - ca 1505
Al centro un vaso, collocato sull’intradosso dell’occhio centrale e con la bocca coperta da frutti; le anse sono costituite da esseri alati mostruosi dal volto maschile rivolto all’esterno. Elementi decorativi fitomorfi in chiaroscuro circondano lo spazio posto attorno alla ghirlanda
- OGGETTO soffitto dipinto
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a tempera
- AMBITO CULTURALE Ambito Veronese
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Il pannello, assieme ad un altro di analogo soggetto (inv. 2-1B2159), faceva "parte di un vasto complesso decorativo proveniente dalla cosiddetta ‘casa De Stefani’ situata in via Leoncino 12 a Verona. Il palazzetto, il cui prospetto ottocentesco nasconde una articolatissima serie di trasformazioni edilizie, acquista il proprio significato residenziale a partire dalla metà del XV secolo, quando i fratelli Antonio, Tommaso e Zeno Turchi si dividono i beni paterni. La parte del vasto complesso edilizio della famiglia che resta all’ultimo fratello è quella dalla quale provengono i pannelli in argomento. Zeno – una figura di qualche rilievo nella Verona della fine del Quattrocento – è uno dei fabricatores della Loggia del Consiglio, l’edificio più moderno costruito in città nel primo Rinascimento: il ruolo assunto in questo contesto lo ha certo reso familiare con le novità stilistiche legate ai più attuali modelli ornamentali. Il soffitto – con molta probabilità situato un tempo in una stanza ancora esistente e posta a piano terreno accanto ad una loggia aperta su di un cortile – era costituito da 28 tavole lignee dipinte, distribuite in quattro file di sette scomparti e separate nel mezzo da una trave a sua volta dipinta: quest’ultimo è l’unico elemento del complesso decorativo che possiamo ritrovare in loco. Ventiquattro pannelli furono venduti da Pietro De Stefani ad un antiquario che, tra il 1923 e il 1924, li cedette alla veneziana Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro, della quale costituiscono il soffitto di una sala dopo l’acquisto caldeggiato da Gino Fogolari, all’epoca soprintendente alle Gallerie di Venezia. Due delle restanti quattro tavole erano state cedute – verosimilmente tra 1910 e 1911 – ai Musei veronesi allo scopo di perpetuare la memoria della provenienza scaligera del complesso dipinto: attualmente soltanto due scomparti sono qui presenti, conservati nei depositi dei Musei Civici (Lodi 2000, pp. 395-402); la destinazione degli altri due pannelli non è purtroppo nota. (...) Attribuite da Gerola a Giovanni Maria Falconetto (1915, p. 223; cfr. anche scheda cartacea), considerate genericamente come opere di scuola mantegnesca nella guida alla Galleria Franchetti (Fogolari, Nebbia, Moschini 1929, pp. 127-128), nel 1931 due delle tavole sono pubblicate da Giuseppe Fiocco (pp. 1211-1212) nel saggio dedicato alla produzione pittorica e architettonica di Falconetto, venendo quindi assegnate nuovamente al maestro veronese così come accade, di conseguenza, nella guida di Antonio Avena al Museo di Castelvecchio (1937, p. 23). Se, a ragione, l’attribuzione non trova eco nella letteratura seguente, anche la stessa esistenza del complesso dipinto e la sua provenienza vengono ben presto definitivamente dimenticate. Queste tavole seguono l’abitudine di coprire i soffitti impiegando pannelli decorati di grande dimensione, uso attestato a Verona a partire dalla fine del Quattrocento nella chiesa di San Girolamo dei Gesuati, che mostra un sistema decorativo noto come «more Iesuatorum». I ventotto pannelli originari – la più parte dei quali di forma rettangolare – sono coperti da un fittissimo apparato decorativo disposto attorno ad una ghirlanda centrale che circonda figure sovente poste su un piano arretrato rispetto al momento puramente ornamentale e stagliate sullo sfondo di cieli azzurri e molto luminosi. Da queste aperture immagini di donne, di cavalieri, busti di imperatori, gruppi di putti, animali araldici, figure mitologiche, anfore e vasi si offrivano agli occhi degli abitanti della casa. I motivi decorativi in chiaroscuro, colpiti da una luce molto o ravvicinata e chiamati a colmare lo spazio esistente tra le ghirlande e le cornici delle tavole, attingono al ricco universo figurativo composto da cavalli alati, putti, trofei d’armi, esseri mostruosi che a Verona compare – per la prima volta con tanta profusione – nella decorazione della cappella di San Biagio affidata principalmente a Falconetto e Domenico Moro - ne e svolta tra 1497 e 1499. La grafia talvolta sommaria e il repertorio di immagini che domina la composizione ricordano le opere dello stesso Falconetto complicate attraverso suggestioni mantegnesche molto comuni in questi anni. Il verosimilmente ricco repertorio dei decoratori – spesso anonimi – attivi tanto all’interno quanto sulle facciate delle case dei cittadini veronesi di questi anni, rende inutile la ricerca di un responsabile di questo importante apparato decorativo, che riteniamo collocato nella casa di Zeno Turchi in un momento da far cadere in uno strettissimo torno di anni a cavallo tra XV e XVI secolo (Lodi 2000, p. 399; 2006, p. 336)" (da Lodi 2010, cat. 111). Per Vinco, invece, esse vanno attribuite al "Maestro della Clelia Bath", pittore veronese tardomantegnesco influenzato dal gusto antiquario di Falconetto e dai paesaggi di Michele da Verona, con una datazione al 1505 circa (2018, pp. 336-343)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717519
- NUMERO D'INVENTARIO 115
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0