San Paolo. San Paolo
anta di organo
1500 - 1510
Il dipinto raffigura san Paolo in piedi con la spada nella mano destra e un libro poggiato al petto. Alle sue spalle un paesaggio campestre
- OGGETTO anta di organo
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a olio
- AMBITO CULTURALE Ambito Veronese
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Possiamo ricostruire le complicate vicende di questa tela grazie ad alcune carte dell’archivio di Andrea Monga pubblicate da Enrico Maria Guzzo (1995-1996, p. 414). In origine essa e la tela inv. 1344-1B1598 erano le portelle dell’organo di San Tommaso apostolo. Quando la chiesa venne rinnovata su progetto di Adriano Cristofali, alla metà del Settecento, furono spostate in sacrestia, dove le ricorda Saverio Dalla Rosa come opere di «maniera antica, e buona ma incerta» (ed. 1996, p. 144). Durante l’occupazione francese la parrocchia fu soppressa, la chiesa trasformata in teatro, l’arredo pittorico venduto all’asta. Le due tele furono acquistate dal conte Giovanni Alcenago, per passare poco dopo nella collezione del conte Giovanni Francesco Sambonifacio, dove le segnala Da Persico come cose di Francesco Dai Libri (1821, p. 31). Nell’aprile 1832 se le assicurò Andrea Monga, cognato di Sambonifacio, che nel frattempo si era trasferito a Padova e stava alienando la sua quadreria. Monga, che le riteneva di Girolamo Dai Libri, ebbe l’idea di ricomporle in polittico come laterali della "Madonna con il bambino e sant’Anna" di Girolamo proveniente da Santa Maria della Scala, con tre tavolette di predella raffiguranti "Cristo nell’orto" (inv. 1369-1B2149), l’"Ultima Cena" (inv. 6568-1B2400) e la "Flagellazione" (6568-1B2400) e con un frammento di stendardo con "Devoti" (inv. 4041-1B2163). In questo disinvolto assemblaggio le vide nel 1864 Sir Charles Eastlake, il direttore della National Gallery di Londra, che dagli eredi del collezionista acquistò, tra altre cose, la pala di Girolamo. Nella divisione tra i figli di Monga, morto nel 1861, i due santi furono assegnati a Bortolo, e con la sua collezione confluirono nel 1911 nelle raccolte comunali d’arte. Da quel momento l’attribuzione cadde definitivamente sul nome di Giovanni Caroto, con l’eccezione dei primi interventi di Antonio Avena (1914 e 1937), che pensava piuttosto a Giovan Francesco. Si ha l’impressione, tuttavia, che la fortuna di questa soluzione dipenda soprattutto dalla confusione che regnava intorno al catalogo dell’artista, in cui sono confluiti molti dipinti senza casa del primo Cinquecento veronese (cfr. in proposito Guzzo 2001). Le tele non sono comprese negli indici che Berenson, Fiocco e Venturi hanno dedicato ai fratelli Caroto, e la stessa datazione, che oscilla con disinvoltura tra il secondo e il quinto decennio del secolo, denota l’imbarazzo degli studiosi nell’inserirle in un corpus che è loro estraneo. Tuttavia, come sottolineato da Gianni Peretti (2010, pp. 250-251), il confronto con le due pale d’altare firmate da Giovanni (San Paolo in Campo Marzio e San Giovanni in Fonte, la seconda oggi al Museo Canonicale) non autorizza in nessun modo a confermare questa ipotesi attributiva. Lo studioso riteneva dunque opportuno, nonostante la qualità assai sostenuta (soprattutto per il "San Giorgio"), riportare le tele nell’anonimato. Inoltre, se una datazione verso il 1530 o il 1540 ne farebbe opere irrimediabilmente fuori della storia, patetici relitti di un mondo ormai tramontato, pensarle dipinte nei primissimi anni del Cinquecento ridarebbe loro la dignità e l’importanza che meritano. A tal proposito, Peretti (2010) proponeva un dialogo non già con i Caroto, quanto piuttosto con Francesco Bonsignori. La pala con i "Santi Giovanni battista, Paolo e Sebastiano" di Palazzo Ducale a Mantova, già attribuita Giovan Francesco Caroto ma restituita a Bonsignori da Sergio Marinelli, a cui si deve la ricostruzione più convincente del percorso creativo del veronese trapiantato a Mantova (1990, pp. 639-642), può offrire un primo punto di riferimento: vi riconosciamo immediatamente il nostro san Paolo, colto in un più espressivo atteggiamento parlante. Quanto alla figura di san Giorgio, il gesto di appoggiare al fianco il dorso della mano – smisuratamente allungata – era stato del san Giorgio nella pala di San Bernardino (del 1488) e della Maddalena in quella di San Paolo in Campo Marzio (del decennio successivo). Il secondo esempio è più calzante perché cronologicamente più vicino. Il capostipite della serie va, inoltre, individuato nel san Giorgio della pala antonellesca di San Cassiano (il frammento è perduto ma è noto grazie ad un'incisione di David Teniers). La plausibile attribuzione a Francesco Bonsignori, per adesso non comprovata, potrà eventualmente essere discussa solo quando si conoscerà meglio il periodo centrale della sua attività, a cavallo dei due secoli. Anche il bel paesaggio lacustre, che non ha nulla di Caroto, può ricordare quanto si faceva in Verona ad apertura di secolo, soprattutto da parte di Girolamo Dai Libri (il "Presepio dei conigli" di Castelvecchio, inv. 1309-1B290, è appunto del 1500). (da Gianni Peretti 2010, pp. 250-251)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715194
- NUMERO D'INVENTARIO 1343
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0