candelabro, 1640 - 1660

Candelabro in lamina d'argento sbalzata, rifinita a cesello e bulino, con parti fuse e applicate. La base triangolare insiste su tre piedi a zampa di leone ed è articolata in tre robusti costoloni a volute concavo convesse su cui siedono tre angioletti a tutto tondo, e in tre specchiature ovoidali circondate da festoni e infiorescenze, concluse sopra e sotto da due teste di cherubini alati. Esse recano le rappresentazioni a rilievo su fondo puntinato di S.Alessandro, e gli altri martiri della chiesa bergamasca. Sul soprapiede, costituito da una lastra triangolare con ai vertici tre volute adagiate, si erge il fusto, formato da nodi e raccordi a disco e a rocchetto, ornati da corone d'alloro incise. Il primo nodo a vaso è ornato da tre cartelle con lo stemma capitolare: il giglio di S.Alessandro sormontato da una corona, e da tre teste di angeli, il cui corpo termina in una voluta col dorso perlinato applicata al nodo. Il secondo nodo, più piccolo, a pisside, è decorato con motivi simili, e così il terzo che si allunga in un grosso balaustro con scanalature a spirale, che regge la tazza bombata, ornata da baccellature, il labbro circolare e la ringhiera mobile con corona di roselline

  • OGGETTO candelabro
  • MATERIA E TECNICA argento/ cesellatura/ fusione/ sbalzo
  • AMBITO CULTURALE Bottega Milanese
  • LOCALIZZAZIONE Bergamo (BG)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Questi sei candelabri per l'altar maggiore, detti "della Corona" negli Inventari dell'Ottocento, per la ricchezza di motivi decorativi e l'accuratezza dell'esecuzione costituiscono la serie più preziosa del Duomo di Bergamo. Come dimostra il punzone che li contrassegna, sono manufatti di una importante bottega di orafi milanesi attiva dal XVI alla fine del XVIII secolo. E' la stessa bottega che lavorò lungamente per il Duomo di Milano, bollando col punzone che Cinotti chiama del "melone", mentre Sambonet designa come del "carciofo". Bottega del "carciofo" è anche per Zastrow. Questa bottega punzonò tra l'altro per il Duomo di Milano, i busti reliquiario dell'inizio del Seicento di Pietro Francesco da Como; la croce e i candelabri Borromeo del suo socio e continuatore Melchion Prata o Piatti, opere tutte smontate e rialzate nel 1778 dall'orefice Pietro Rubini, sempre della bottega del "melone", ovverossia "del carciofo". Per Sambonet nel marchio del "carciofo" si possono distinguere due tipi: il primo a tre punte, il secondo a quattro punte. Il carciofo dei candelabri di Bergamo sembra essere del primo tipo, e giustamente, perché il conio a quattro punte è quello usato dal Rubini, quindi di epoca tardosettecentesca. Un'aria di famiglia accomuna i nostri candelabri della Corona con quelli Borromeo di Milano (anche se quest'ultimi eseguiti nel primo Seicento su un modello tardocinquecentesco sono stati fortemente ristrutturati nel 1778); ma maggiori somiglianze le abbiamo riscontrate con i due grandi candelabri in bronzo del 1653 nella chiesa di Sant'Eustorgio, attribuiti a Carlo Garavaglia. Mentre in quelli Borromeo slanciate figure di gusto ancora manieristico sono addossate alle volute delle basi, in quelli di Sant'Eustorgio, come in quelli di Bergamo, siedono puttini alati che protendono i pugni chiusi con un foro al centro per reggere qualcosa, ora scomparso. Nei candelabri della Corona dovevano essere fiori o ghirlande di fiori (data l'insistenza con cui si parla di fiori "sotto i cherubini" negli Inventari del Settecento); in quelli di Milano forse chiodi o strumenti della passione. I sei candelabri di Bergamo sono databili stilisticamente, al sec. XVII, forse attorno alla metà, dato che il primo Inventario che li ricorda è del 1682: "Candelieri sei d'argento grandi simili con li suoi fioramini con tre angioli per candeliere pure d'argento di rilievo con le figure dei santi Alessandro et compagni martiri". Descrizione più accurata è nell'Inventario del 1701: "Sei candeglieri grandi tutti d'argento con tre angeli di getto cado per cantoni nel fondo con figure una della Madonna, altra di S.Alessandro, altra di S.Narno in abito episcopale. vi mancano nell'estremità d'uno de candeglieri de più grandi due fiori in fondo de cherubini, al mezzo di detti candeglieri vi sono tre arme con un giglio. ad un altro de più grandi ne mancano due fioretti sotto due cherubini in fondo et anco una rosa della corona mezzo alla spina". Le stesse notizie sono nell'Inventario 1709 (solamente i fiori mancanti sono più numerosi), nell'Inv. 1830 (in cui sono chiamati della Corona), in quello "post 1854", in cui l'argento è giudicato "approsimativamente di Kg. 39", nell'Inv. 1932, in quello di A. Pinetti del 1931: "Tre coppie di candelieri d'argento, di diversa altezza, ma di uguale disegno e lavoro. Il piede triangolare insiste sopra tre zampe di leone ed ha tre putti addossati agli spigoli: sulle facce, tra ornati a rimbalzo, tre cartelle coi santi Alessandro, Giovanni Vescovo e la Vergine. Fusto a tre nodi minutamente cesellati ed ornati, con aggetti di testine d'angelo. Sec.XVII-XVIII". Più genericamente in Pagnoni: " una ricca serie di candelabri in bronzo fuso e in argento sbalzato del 5-6-700"
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente religioso cattolico
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0300205832
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Monza Pavia Sondrio Varese
  • DATA DI COMPILAZIONE 1988
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2006
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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