Giunone

dipinto, ca 1690 - ca 1700
Van Den Dyck Francesco (attribuito)
notizie seconda metà sec. XVII

Il dipinto faceva parte del riallestimento seicentesco della Grotta di Isabella d'Este nell'appartamento del Paradiso

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Van Den Dyck Francesco (attribuito)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo Ducale
  • INDIRIZZO Piazza Sordello, 40, Mantova (MN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Le tele in esame provengono dalla Domus Nova del palazzo Ducale e per l'esattezza dall'ambiente in cui viene allestita, nel Seicento, la Grotta di Isabella d'Este. L'arredo cinquecentesco del camerino è trasferito dalla Corte Vecchia all'appartamento del Paradiso attorno al 1630 (cfr. cat. 382-390) e lo troviamo lì ancora ai primi del Novecento, nel passetto delle Frasche, già noto come camerino delle Duchesse. Verso il 1917 la Grotta viene smantellata, per essere ricostruita, dopo la fine della guerra, in Corte Vecchia; in questa occasione le nostre tele vengono separate dalla boiserie. Nel 1665 l'inventario dei beni di Carlo II Gonzaga Nevers attesta nella Grotta della Domus Nova la presenza di "otto pezzi di quadri con l'opera del Testamento vechio, di mano del Costa Vechio" (PICCINELLI 2011, p. 222 n. 89); per inciso, dovendosi escludere le tele Costabili (L'OCCASO 2008b, pp. 119-120), si potrà valutare l'ipotesi che a quel ciclo appartenesse un dipinto raffigurante Adamo ed Eva della cerchia di Lorenzo Costa il Vecchio (cfr. Monumenta Bergomensia 1983, n. 1064). Le nostre tele vengono inserite nell'ambiente in un momento successivo e vi sono documentate per la prima volta nel 1714: "freggio in tela superiormente all'intorno con Giunone, Venere e Marte" (L'OCCASO 2008b, p. 119). Un inventario del 1707 indica la presenza di "Tre pezzi di sfrisi longhi et due altri pezzi corti e con sopra molti dei, cioè Venere, Appollo, Giove, Mercurio et altri dei che suonano diversi instrumenti con varii puttini, quali sfrisi servivano per la camera dissero alla parte della signora duchessa" (PICCINELLI 2011, p. 141). Se l'identificazione è corretta, il ciclo era allora costituito da cinque tele ed è anteriore al 1707, data della fuga di Ferdinando Carlo Gonzaga a Venezia, ma non è chiaro se esso nasca proprio per il camerino delle Duchesse o se vi venga collocato in un secondo momento, tra il 1707 e il 1714. L'inventario del 1752 ricorda quindi in quell'ambiente "Quattro quadri che servono di fregio, fissi nel muro, rappresentanti diverse Favole profane" (ASMn, Sc, b. 36); poco aggiungono i successivi inventari, tra cui quello del 1860 (ASoMn, n. 1107) secondo il quale i "Quattro quadri in tela dipinti ad olio che contornano la parte superiore del gabinetto, con cornici dorate, rappresentanti Giunone = il Ratto di Europa ed altre mitologiche figure" sono "d'ignoto autore". Un acquerello ottocentesco recentemente scoperto (cat. 610), un secondo dello svedese Aron Johansson (Mantova, collezione Auro Bulbarelli: BERTELLI 2007b, pp. 370-373) e fotografie Alinari mostrano che in origine i pannelli 776A e 776B erano contigui, forse cuciti assieme, e occupavano una parete lunga ca. 3,20 metri. La situazione presentata da una fotografia Alinari della fine dell'Ottocento (AGOSTI 1992, pp. 26 e 27 fig. 24) e dagli acquerelli non è però quella originale: sulla parete del portale di Gian Cristoforo Romano si vede, alla destra, l'Europa rapita, cui segue in senso orario, sulla parete adiacente, la Minerva. Il panneggio di questa figura però s'interrompe a sinistra e il suo lembo sinistro si ritrova in una tela che all'epoca non le era contigua: ne vediamo un tratto nell'angolo in basso a destra della tela con Marte, inv. 777; anche il fondo paesaggistico, immerso in una luce serotina, è lo stesso ed è quindi evidente che le due tele sono state ricavate da un'unica. La foto Alinari mostra quindi la Grotta isabelliana in una situazione già rimaneggiata e ha ragione BERTELLI (2007b, p. 346) a notare una serie di rabberciature e tagli nelle tele, indizi di una situazione rimaneggiata. La 12226 illustra naturalmente un passo delle Metamorfosi di Ovidio: Giove sotto forma di toro rapisce Europa, figlia di Agènore (Met., I, 873-875: "Pavet haec litusque ablata relictum / respicit, et dextra cornum tenet, altera dorso / inposita est; tremulae sinuantur flamine vestes"). Non altrettanto chiara è l'iconografia delle altre tele. AGOSTI (1992, p. 24) riconosce nella 776B un "Bacco e Arianna", ma la corona d'alloro e la lira piuttosto mi pare che identifichino l'uomo che le tiene con Apollo, mentre non saprei dare un nome plausibile alla sua compagna, forse anch'essa una divinità. Non vi sono dubbi che la figura nel 776A sia Giunone, col consueto suo pavone, e che l'uomo armato nel 777 sia Marte. Corrette identificazioni iconografiche sono proposte da BERTELLI (2007b, pp. 346-348), il quale definisce giustamente "Venere e un satiro" il cat. 448. A parte una fugace menzione di RESTORI (1919, p. 57), sembra che le tele - certo per la loro indubbia bruttezza - siano ignorate dalla critica fino a che BERZAGHI (1988, p. 90) menziona le tele "dai generici caratteri secenteschi, ma probabilmente posteriori agli interventi di Carlo I". In seguito AGOSTI (1992, p. 24) giustamente nota che l'autore dell'Europa sul toro deve essere diverso da quello del "Bacco e Arianna";CONTINUA IN OSS
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0300152037-3
  • NUMERO D'INVENTARIO St. 776A
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Palazzo Ducale di Mantova
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Mantova Brescia e Cremona
  • DATA DI COMPILAZIONE 2010
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2009
    2013
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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