Mosè consegnato alla figlia del faraone

dipinto,

Al centro della tela è raffigurata Termuta, la figlia del faraone, che da disposizioni per accogliere il piccolo Mosè mostratole da un'ancella dopo averlo salvato dalle acque. Intorno ancelle e servitori. Sullo sfondo a sinistra della vegetazione, mentre sulla destra si erge il profilo parziale di una chiesa. La cornice intagliata e dorata presenta modanature lineari

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Cairo Francesco (attribuito): pittore
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Reale, Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto viene citato per la prima volta in un documento ricuperato dal Baudi di Vesme datato agosto 1645 della Camera dei Conti sabauda. Nell'atto si autorizzava un pagamento a favore di Pietro Botto per la «grande cornice intagliata, quale si è messa al quadro rappresentante Termuta col piccol Mosè salvato dalle acque>>. Dal mandato di pagamento si evince che il dipinto era stato presentato a Cristina di Francia dal Cairo ed era collocato nel Castello del Valentino già alla metà del quinto decennio del Seicento. Il documento, oltre ad accertarne la paternità e la sua precisa destinazione, pone quindi un importante termine ante quem per l'esecuzione dell'opera. Il dipinto verrà ancora citato in un inventario del 1677, che lo indica nella stanza da letto dell'Appartamento nobile del Padiglione sinistro dell'edificio (Di Macco 1983); nell'inventario degli oggetti d'arte del Castello di Moncaglieri redatto nel 1879 nel quale si riporta l'attribuzione a scuola spagnola; e nel 1908 in un ulteriore inventario dove viene indicata sempre nello stesso edificio come proprietà del Ministero dell'Istruzione (Di Macco 1983). La corretta attribuzione sarà riportata dal Viale che nel 1949 ricupera e pubblica la citazione dell'Inventario torinese del 1677, dando il via ad un lento processo di rivalutazione storiografica dell'opera i cui più importanti passaggi sono avvenuti tuttavia in anni piuttosto recenti. La prima importante occasione è stata offerta nel 1963 dalla 'Mostra del Barocco piemontese', quando nella presentazione della tela la Griseri ha individuato per la prima volta nell'opera precisi riferimenti urbanistici alla città di Torino e ascendenze stilistiche schiettamente genovesi, un elemento questo che verrà indicato l'anno successivo anche dal Grandi. Nello specifico la Griseri riconobbe le fattezze del Duomo della città nella chiesa che si staglia sullo sfondo a destra della tela; e nel gruppo dei personaggi colse accenni della vita di corte e allusioni alle personalità di palazzo. Nel ruolo centrale spicca infatti Termuta, che attrae gli sguardi e le azioni dei partecipanti. La postura regale ed il gesto imperativo sono propri di Madama Reale, nell'esercizio pieno del ruolo di reggenza riacquisito de facto con l'accordo che mise fine alle lotte tra madamisti e principisti del 1642. Quest'ultimo aspetto è stato ben sottolineato dalla Di Macco (1983); secondo la studiosa anche «le immagini delle due giovani fanciulle possono infatti associarsi nel contenuto: sono emblematiche di quelle figure di umili e di colonizzati che la cultura gesuitica volentieri inseriva per le sue manifestazioni didattiche e la loro presenza, nei due quadri piemontesi, esprime anche la volontà programmatica di Cristina di Francia di porsi come autorità tutelare>>. Alle considerazione della Di Macco fece seguito la Griseri (1988) la quale ha soffermato l'attenzione sulla figura maschile sulla destra. Si tratta evidentemente di un personaggio ritratto che era stato già identificato qualche anno prima dalla stessa Griseri con il Cairo (Griseri 1966) e che stavolta viene identificato come Filippo d'Agliè, intellettuale di corte tenuto molto in considerazione dalla stessa Cristina di Francia. Più di recente è stato evidenziato come il riferimento alla corte reale delle figure rappresentate nella scena veterotestamentaria sia invece di carattere prettamente allusivo, a discapito degli intenti di ravvisare elementi ritrattistici nelle fisionomie dei personaggi raffigurati (Frangi 1998). Secondo il Frangi la tela costituisce « … dopo la pala di Parma - la tela raffigurante La Vergine e san Giuseppe che appaiono a santa Teresa della Galleria nazionale, realizzata nel 1641 o in un momento di poco successivo- ulteriore importante tassello cronologico all'interno del percorso del pittore negli anni quaranta>>. Sempre il Frangi riconoscendo i caratteri genovesi-vandyckiani nella tela, segnatamente nella 'florida figura dell'ancella che tiene il piccolo Mosè' o nel 'manto saturo di colore del ragazzo moro in primo piano', introduce nel percorso critico dell'opera ulteriori elementi di carattere storico, utili a completare il quadro delle circostanze prossime alla sua realizzazione. Lo studio fa riferimento in particolare alla festa tenuta al castello del Valentino l'8 aprile 1645 per celebrare il ritorno a corte del piccolo Carlo Emanuele I a seguito dell'allontanamento resosi necessario a causa dell'intensificarsi qualche anno prima delle lotte intestine tra principisti e madamisti. La composizione preziosa e complessa, realizzata quindi in coincidenza con l'evento, sarebbe un modo per celebrare il pargolo reale, futuro erede al trono dopo la prematura morte del primogenito Francesco Giacinto, ma anche implicito tentativo del Cairo di rientrare nelle grazie di Madama Reale al momento della sua massima affermazione di reggenza. Il documento del 1645 che prevede il pagamento in favore di Pietro Botto per una grande cornice (continua in OSS)
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350884
  • NUMERO D'INVENTARIO 822
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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