Madonna con Bambino

dipinto, ca 1460 - ante 1500

Tavola con listelli di rinforzo inchiodati in prossimità dei margini laterali. Soprattutto nella parte destra si notano raschiature e lacune, reintegrate, del supporto. A sinistra sigillo in ceralacca con stemma nobiliare

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Mantegna Andrea (cerchia)
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Anonimo Pittore Padovano, Sec. Xv
    Andrea Mantegna
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto fu donato alla Galleria dall’imprenditore e collezionista torinese Riccardo Gualino nel 1930, poi inviato nella sede londinese dell’Ambasciata italiana prima di fare definitivamente ritorno al Museo. Venturi l’attribuiva alla giovinezza di Andrea Mantegna per il segno “nervoso e incisivo”, teso a sottolineare forme e volumi e per la caratterizzazione del “forte squadro della cilindratura rigorosa delle dita” delle mani. Tale parere non trovò concordi né la Tietze-Conrat (1955), che la riteneva per stile e formato più vicina al circuito veneziano gravitante attorno al maestro, né convinceva Arslan (1961) e Gonzales Palacios (1961). Paccagnini, in occasione dell’esposizione del dipinto alla mostra mantovana del 1961, tentava cautamente di avvicinarla alla cerchia padovana squarcionesca e in particolare a Marco Zoppo. Invero la tavola è riconoscibile in una fotografia dell’archivio di Bernard Berenson che, grazie a una provvidenziale annotazione manoscritta sul retro dallo studioso, registra un primo stato dell’opera con due Santi laterali (una Santa Caterina a sinistra e un anonimo Santo anziano e barbuto sulla destra) nel 1913, all’epoca cioè della vendita della collezione di Edouard Aynard di cui faceva parte. Lo studioso, che tra l’altro non la inseriva nei suoi elenchi, la rivedeva nuovamente presso il mercante parigino Sekeyan dopo qualche anno e a seguito di un restauro volto a cancellare la dolcezza belliniana dai volti, a coprire le figure laterali con lo sfondo neutro e a conferire soprattutto alla Madonna una fisionomia più dura, tagliente, plastica e “padovana” (Gonzales Palacios, 1961). Il tendenzioso restauro intrapreso per immettere l’opera sul mercato con l’altisonante attribuzione ad Andrea Mantegna, lo spuliva con la soda sino al livello della preparazione e raschiava con un temperino le figure secondarie, i cui nimbi incisi sono tutt’ora visibili a luce radente (Gabrielli, 1971). A parere di Gonzales Palacios (1961) potrebbe pertanto derivare da un’idea mantegnesca replicata da un anonimo seguace, come nel caso di un’altra tavola veneziana attualmente di ubicazione ignota realizzata da un ignoto maestro edotto sullo stile mantegnesco, belliniano e di Cima da Conegliano e cronologicamente più avanzata rispetto al periodo padovano di Andrea Mantegna. Condivideva invece con la cosiddetta Madonna di Verona del Museo di Castelvecchio, già espunta dal catalogo del pittore da Lightbown (1986, p. 485 n. 148), similari vicende di restauro. Certamente la tavola torinese si accosta ad alcuni capisaldi della produzione del Maestro come la Madonna Simon di Berlino, la Carrara di Bergamo e quella milanese del Poldi Pezzoli (Venturi, 1926), che riflettono sul tema iconografico della Madonna Glykophilousa, ove sempre rinnovato è il modo con cui le mani della madre sostengono teneramente il figlio. Nel caso della tavola torinese l’interpretazione del soggetto pare però stemperata dalla nota lugubre del neonato addormentato con la testa sorretta come in alcune deposizioni. Tali esempi di riferimento scontano inoltre a loro volta l’incertezza di una sicura compartimentazione cronologica, variamente sospinta dalla critica al periodo giovanile, a quello mantovano e persino a quello più inoltrato. Tuttavia la fisionomia del Bambino ripropone quella dei putti donatelliani, lo scorcio dell’aureola - insolitamente decorata da motivi pseudo cufici - sembra desunto dagli esempi forniti dalla Cappella Ovetari e dalla Morte della Vergine del primo periodo mantovano, mentre la rappresentazione del neonato fasciato ricorda le miniature padovane dell’artista e i paralleli esiti della Presentazione al tempio del cognato Giovanni Bellini. In mancanza di appigli più certi e tenendo conto dell’invasivo intervento di restauro subito dall’opera, allo stato attuale della questione pare plausibile ipotizzare che la sua datazione debba orientarsi almeno verso la settima decade del XV secolo e la paternità indirizzata verso un anonimo pittore della cerchia mantegnesca-belliniana
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350765
  • NUMERO D'INVENTARIO 651
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • ISCRIZIONI retro del dipinto, in centro a sinistra - stemma nobiliare - a pennello - italiano
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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