vaso comune (bene semplice)
ante 1911 - 0000
Vaso comune in terracotta smaltato, sia internamente che esternamente, in bianco-beige. L'invetriatura è presente su tutta la superficie, tranne che nella parte inferiore esterna. Il piede è assente. Il vaso è di forma cilindrica, con un collo più stretto e breve, che termina in un orlo all'imboccatura leggermente più inspessito
- OGGETTO vaso comune
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MATERIA E TECNICA
ceramica/ terracotta
INVETRIATURA
cottura
modellatura a mano
tornitura
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CLASSIFICAZIONE
ARREDI E SUPPELLETTILI/ CONTENITORI, RECIPIENTI E OGGETTI DI USO DOMESTICO
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Museo delle Civiltà - Arti e tradizioni popolari
- LOCALIZZAZIONE Palazzo delle Tradizioni Popolari
- INDIRIZZO Piazza Guglielmo Marconi 8, Roma (RM)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L'oggetto fa parte della collezione nazionale curata da Lamberto Loria per la Mostra di Etnografia Italiana del 1911, inaugurata a Roma il 21 aprile di quell'anno, nel contesto dell'Esposizione Universale (BIBR: PUCCINI 2005, pp. 91-92). La collezione si costituì attraverso una serie di campagne di acquisizione di materiali propedeutiche alla realizzazione della Mostra, avvenute fra gli anni 1908-10. Effettuate su commissione di Lamberto Loria, da parte di suoi stretti collaboratori, le ricognizioni avevano lo scopo di individuare oggetti affinché "le diverse raccolte compongano alla fine un quadro completo e omogeneo della vita popolare" (BIBR: PUCCINI 2005, p. 91). Responsabile dell'acquisto dell'oggetto qui considerato tra il 1908 ed il 1911 fu Athos Foco Mainardi, su autorizzazione dello stesso Loria. In questo modo l'oggetto giunse a Roma, all'interno di quei circa 40.000 esemplari di interesse etnografico raccolti per la Mostra (BIBR: PUCCINI 2005, p. 109). Successivamente l'intera collezione Loria, attraverso un lungo percorso di immagazzinamento - influenzato anche dalla pausa dovuta alle due Guerre Mondiali -, è confluita, quale parte fondante, nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, inaugurato nel 1956. Il vaso è stato raccolto nella cittadina di Arpino, allora provincia di Caserta, oggi di Frosinone. La produzione ceramica artigiana locale ha origini estremamente antiche, sebbene abbia conosciuto il proprio apice dalla fine del secolo XIX, fino quasi a tutto il XX (BIBR: SILVESTRINI 1982, p. 36). L'oggetto è in argilla bianca, eseguito al tornio (BIBR: SCHEUERMEIER 1980, pp. 18-56) e, qualora l'invetriatura fosse presente, smaltato in fase di cottura (BIBR: SILVESTRINI 1982, p. 37). Il materiale si estrae nella zona chiamata Vallone e si trasporta all'interno di Arpino. "La creta si pesta, si staccia, si bagna, si raffina e finalmente si impasta in uno stanzone mezzo scavato in una roccia, umido e buio, in fondo al quale si apre la bocca della fornace, dove il fuoco è alimentato con rami di quercia e di faggio" (BIBR: SILVESTRINI 1982, p. 36). I vasi prodotti ad Arpino, e in tutta la zona del Basso Lazio, appaiono quasi sempre smaltati, sia internamente che esternamente, anche se non mancano esemplari in terracotta grezza; a differenza delle altre produzioni, però, lo smalto utilizzato non è lucido ma opaco. L’invetriatura risponde a una necessità pratica legata all’utilizzo dell’oggetto (BIBR: SILVESTRINI 1982, p. 69). Il vaso comune, infatti, era destinato alla conservazione di cibi, specialmente di conserve; queste ultime venivano realizzate tramite l’utilizzo di olio o sale e la smaltatura impediva così che i liquidi grassi impregnassero la terracotta (BIBR: SILVESTRINI 1982, p. 69). Allo stesso modo, si riscontrano usi locali collegati alla conservazione dello strutto, delle olive e della conserva di pomodoro. La forma è usualmente cilindrica, con l’assenza evidente di piede e a volte di manici; la bocca si presenta invece larga, con un orlo spesso che tende a essere leggermente svasato rispetto alla larga pancia. Un’altra caratteristica generalmente riscontrabile l’assenza di decorazioni ornamentali dipinte sulla terracotta, ad eccezione di alcune incisioni funzionali all’utilizzo dell’oggetto. Oltre l'uso locale quotidiano, storicamente è fondamentale l'esportazione di questi manufatti verso centri limitrofi più importanti, come Roma, uno dei cardini dell'economia locale. La produzione arpinate vede protagonista realtà familiari, che proseguono il tipo di lavorazione sorto in città tra il 1700 ed il 1800. Tra di queste è da menzionare la famiglia Palma, operante nel quartiere Portella, responsabile della gran parte di produzioni ad uso domestico. A livello locale, la vendita veniva eseguita direttamente in bottega, scambiando i manufatti con altri prodotti naturali. Banchi di ceramiche arpinati, però, erano rintracciabili settimanalmente nelle vicine Sora ed Isola Liri, mentre annualmente a Roma durante la festa di San Giovanni (BIBR: SILVESTRINI, p. 37)
- TIPOLOGIA SCHEDA Beni demoetnoantropologici materiali
- FUNZIONE E MODALITÀ D'USO contenere e conservare cibo
- LUOGO DI REALIZZAZIONE Arpino (FR) - Lazio , ITALIA
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AUTORE DELLA FOTOGRAFIA
Manna, Gabriella/ Grancagnolo, Erika
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1200189839
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Museo delle Civiltà - Museo Nazionale delle arti e tradizioni popolari
- ENTE SCHEDATORE Museo delle Civiltà - Museo Nazionale delle arti e tradizioni popolari
- DATA DI COMPILAZIONE 1978
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2022
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DOCUMENTAZIONE ALLEGATA
scheda obsoleta (1)
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0