Santa Maria di Capocolonna (Madonna di Capocolonna)
Il culto di Santa Maria sotto il titolo di "Capocolonna" è molto sentito in tutto il comprensorio del Crotonese. Nell’antichità sorgeva un tempio pagano dedicato alla Dea Madre, “Hera Lacinia”, con il Cristianesimo, la devozione si spostò alla “Madre del Signore e della Chiesa”, a Maria l’unica colonna superstite che diede il nome alla località Capo Licinio o delle Colonne. Vi è una profonda unità secolare fra la Madonna di Capocolonna e la storia civile, culturale e religiosa di Crotone. La festa della Madonna di Capo Colonna, patrona dell’arcidiocesi di Crotone-Santa Severina, ha luogo nel mese di maggio. I momenti salienti sono: - Il 30 aprile il quadro viene calato dall'altare della basilica, cattedrale della città, e posto sull’altare della navata centrale. - Il giovedì della seconda settimana del mese i fedeli si ritrovano, dopo la santa messa, al rito del "bacio del quadro" e una delle vicarie dell’arcidiocesi offre l’olio per la lampada votiva. - Il sabato seguente festa liturgica della Madonna, alle nove la mattina il capitolo cattedrale celebra una messa solenne e nel pomeriggio, l’icona raffigurante la Vergine con in braccio il bambino Gesù, viene portata in processione per le vie della città fino a raggiungere l'ospedale civile "San Giovanni di Dio", dove l'arcivescovo presiede un momento di preghiera per e con gli ammalati, per poi rientrare in basilica. - Il mercoledì, della terza settimana, viene aperta la fiera che si snoda lungo viale Regina Margherita, presso il castello di Carlo V, costeggiando il porto commerciale, e presso lo stadio Ezio Scida. - La notte tra il terzo sabato e la terza domenica si svolge il grande pellegrinaggio notturno. All’una e trenta di notte, la sacra effigie esce dalla basilica per dirigersi verso Capo Colonna, promontorio distante circa 15 km da Crotone. Il pellegrinaggio è diviso in due momenti, il primo si conclude quando l’icona della Madonna entra nel cimitero cittadino per un momento di preghiera presieduto dal rettore della basilica, successivamente il corteo riprende il cammino e arriva a Capo Colonna, alle prime luci dell'alba, dove sosta per tutta la giornata di domenica. In serata l’icona viene imbarcata e portata dal rettore del santuario via mare al porto turistico di Crotone, salutata al rientro dai fuochi d’artificio. - Il 31 maggio l’icona viene riposta nella sua cappella, dove rimane fino al maggio prossimo. Ogni sette anni ricade il "settenale". Il quadro portato in processione è l’originale, custodito nella cattedrale, e il ritorno non avviene via mare ma trainato da buoi ripercorrendo la stessa strada fatta durante la notte precedente con un grandissimo afflusso di pellegrini
- OGGETTO santuario
- LOCALIZZAZIONE Crotone (KR) - Calabria , ITALIA
- INDIRIZZO Via Hera Lacinia, Crotone (KR)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Le prime notizie sulla chiesa risalgono alla fine del Quattrocento - primi anni del Cinquecento, quando il promontorio fu soggetto alle scorrerie turchesche. Un manoscritto, che descrive i miracoli della Vergine del Capo, compilato nel 1598 dal canonico Giovanni Cola Basoino, fu “copiato” dall’originale nel 1741 dal primicerio Raimondo Torromino, che diverrà poi arcidiacono. La “copia” fu in seguito messa a stampa nel 1824 dal Decano Giuseppe Maria Sculco. Il “Libro dei Miracoli” tramanda che nel 1519 esisteva a Capo delle Colonne una chiesa, dove si venerava una sacra immagine della Vergine detta del Capo. Nel giugno di quell’anno due galee di Turchi approdarono al Marinello e saccheggiarono la vicina chiesa, tentando invano di bruciare l’immagine che, buttata in mare dai pirati, fu ritrovata sulla spiaggia “sotto l’Irto del Capo verso li Canalicchi” da un vecchio coltivatore del luogo di nome Agatio Lo Morello. L’immagine fu dapprima portata nel convento dei minimi di San Francesco di Paola e poi in un altare della cattedrale, costruito appositamente con le elemosine dei fedeli. L’originale manoscritto del Basoino, copiato dal Torromino “molto patito così nel carattere, come nelle pagine lacerate in molti luoghi”, è andato perduto. Anche da una superficiale analisi il testo che ci rimane, che si rifà alla copia settecentesca, mostra delle alterazioni dell’originale, specie nella parte iniziale. È sospetto anche il fatto che la chiesa e la località del ritrovamento risultano nelle proprietà dell’arcidiaconato. Durante il Cinquecento ed il Seicento la chiesa sul promontorio fu meta di pellegrinaggi, soprattutto per chiedere la protezione dalle calamità, in specie la grazia della pioggia. Infatti, di solito, l’immagine che si trovava nella sua cappella in cattedrale, era portata in processione per l’abitato; ma in caso di eventi particolarmente gravi veniva condotta alla sua antica dimora. In tale occasione i governanti della città dovevano personalmente recarsi dal vescovo a chiedere il permesso. L’ordinario, riconosciuta la fondatezza della necessità, lo concedeva gratis, una volta che ogni cosa era stata predisposta, affinché la processione si presentasse con quella pompa e quel decoro che erano dovuti e si fosse provveduto alla cera e ad ogni altra cosa necessaria. A volte durante il percorso nascevano liti per la precedenza tra il clero e le confraternite che dai diversi luoghi vicini si associavano. Proprietario della chiesa e del luogo dove essa sorgeva era l’arcidiacono, la prima dignità del Capitolo cattedrale di Crotone, la carica religiosa più importante e prestigiosa dopo quella di vescovo, di cui sovente era vicario. La dignità fu detenuta per quasi tutta la prima metà del Cinquecento dai Lucifero. In tale periodo i celebri resti sul promontorio furono utilizzati come cava per ricavare il materiale per la ricostruzione della cattedrale e per le nuove fortificazioni della città. In seguito l’arcidiaconato passò in commenda e sul finire del Cinquecento e durante il Seicento, cominciò a deprezzarsi a causa delle pensioni che cominciarono a gravarlo. Era arcidiacono, fin dal 1694, Diego Domenico Leone. Tra i diritti e le prerogative, che esso godeva dai tempi antichi, vi era anche la carica di rettore e cappellano della chiesetta di “Santa Maria de Capite Columnarum in dicto capite sita”. La piccola chiesa era curata quotidianamente da un eremita che abitava sul Capo ed era meta di devozione, come dimostra la grande croce in legno, ancora oggi esistente, lasciata nella primavera del 1701 dal cappuccino Antonio d’Olivadi, che la trascinò da Crotone, andandovi in processione. Il Leone nel gennaio 1704 lascerà l’arcidiaconato per il Cantorato che, pur essendo la terza dignità della chiesa crotonese, assicurava una rendita maggiore, mentre nuovo arcidiacono divenne Geronimo Facente. Quindici anni dopo, al tempo del vescovo Anselmo de la Pena, era arcidiacono Pietro Paolo Venturi. Le cose non erano cambiate di molto. La proprietà era immutata ma le due gabelle dette “Il Capo di Nao” e “Erticello”, se affittate a pascolo, davano all’incirca la stessa rendita, a semina, invece, a causa delle sterili annate e del luogo particolarmente soggetto all’aridità, la loro resa si era ridotta di un terzo. Morto il Venturi, alla fine del giugno 1741 subentrò nella dignità l’aristocratico Domenico Geronimo Suriano, già tesoriere della cattedrale. Dal Catasto onciario di Cotrone del 1743 risulta che l’Arcidiaconato, detenuto dal Suriano, conservava i due territori a Nao, uno contiguo all’altro, detti “il Capo” e “L’Irticello”. Pochi anni dopo la località cominciò ad animarsi per l’arrivo dei forzati, addetti a reperire il materiale per la costruzione del nuovo porto di Crotone. Con l’inizio dei lavori veniva riparata la vicina regia torre di guardia del Marrello, detta anche del “Travaglio” edificata all’inizio del Seicento, e si costruiva un piccolo villaggio con abitazioni e chiesa dedicata a San Carlo Borromeo. Nel settembre 1755 divenne arcidiacono, per morte di Domenico Geronimo Suriano, Raimondo Torromino, già decano della chiesa crotonese. Egli fu così il nuovo cappellano della chiesa e da alcuni documenti che lo riguardano, si viene a conoscenza che, a fianco della chiesa, era stata costruita dai precedenti arcidiaconi una torre, per rifugio in caso di improvvise imboscate da parte di corsari o banditi. Con l’arrivo del quasi ottantenne Torromino le cose mutarono. Egli, infatti, fece fare numerosi lavori. Restaurò la chiesa e la torre, che già esistevano, e fece costruire un casino composto da tre nuove camere e tre bassi attaccati alla torre. Frattanto le entrate della dignità, già gravate da pensioni, cominciarono ad assottigliarsi per il perdurare di una lunga crisi agricola, che sfocerà in una devastante carestia. Fu in questi anni che il Torromino, essendo vescovo il napoletano Mariano Amato (1757-1765), concesse dei pezzi di terreno sul capo a degli aristocratici della città, che si erano arricchiti con la speculazione ed il mercato nero, affinché potessero costruire dei casini per godere “l’amenità dell’aere”. La prima concessione fu fatta nell’ottobre 1763 a Pietro Asturelli (5.10.1763), seguirono l’anno dopo quelle fatte a Francesco Antonio Sculco ed al marchese Giuseppe Maria Lucifero (9.1.1964), ad Annibale Montalcini (27.1.1764), a Raffaele Suriano ed infine, a Nicola Marzano (12.4.1764). Il 21 novembre 1770 su incarico dei coeredi, cioè il canonico Raffaele Asturelli ed i suoi fratelli, i sacerdoti Francesco e Giuseppe, venivano incaricati i mastri fabricatori e muratori Pascale Juzzolino e Giuseppe Gerace ed il mastro falegname Antonio Sacco, a valutare ed apprezzare i lavori fatti fare dal defunto arcidiacono nella chiesa, nella torre e nella costruzione delle tre nuove camere e tre bassi, attaccati alla torre, nella gabella detta il Capo di Nao. Nel febbraio 1774 subentrava il primicerio Diego Zurlo, prete nobile di 63 anni, che svolgeva anche la carica di vicario generale e capitolare, essendo Crotone sede vacante per morte del vescovo Bartolomeo Amoroso. Tre anni dopo la chiesa rurale sotto il titolo della Madonna del Capo, risulta curata dall’arcidiacono Diego Zurlo, che vi teneva un eremita laico, mentre la vicina chiesa, fondata per ordine del re e dedicata a San Carlo Borromeo, era sotto la cura spirituale del cappellano regio Francesco Antonio Riccio. Morto lo Zurlo, fu nominato arcidiacono nell’agosto 1778 il sessantenne Michele Messina, professore di teologia morale, convisitatore ed esaminatore sinodale ecc., già arciprete e penitenziere. Il nuovo arcidiacono nell’estate dell’anno dopo riprese i lavori di restauro delle fabbriche della chiesa, della torre e del casino, situate sul promontorio. In quell’occasione nella torre furono intonacate le tre stanze, risanata la scala del basso e fu rifatto il ponte, al casino furono riparati i pavimenti di due stanze, le finestre, le porte, i cinque archi della scala, accomodati i tetti, fatto il forno ed il focolaio per cappa alla cucina. La chiesa fu intonacata e fu accomodato il tetto. Le proprietà dell’arcidiaconato non furono intaccate dalla Cassa Sacra e la loro rendita risulta inalterata nel catasto del 1793. Durante il vescovato di Ludovico Ludovici (1792-1797) la chiesa passò sotto il governo e la giurisdizione del nuovo arcidiacono che, dall’aprile 1795, fu Michele Labonia, il quale come i precedenti la affidò alla cura quotidiana di un eremita. Durante il Decennio francese, al tempo della ripartizione dei demani nel 1811, si provvedeva al distacco della quarta parte di ogni fondo ecclesiastico. L’arcidiaconato conservava le antiche tre gabelle: le due gabelle a Capo Colonna e la gabella Farcusa. I due territori in Capo Colonna, tuttavia, non furono intaccati dalla ripartizione, che interessò solo parzialmente la gabella Farcusa. Agli arcidiaconi Vincenzo Siniscalchi e Tommaso Bruno seguì Pietro Bottazzi, il quale si impossessò della vicina torre di proprietà del pubblico demanio, asserendo che era la torre del casino appartenente all’arcidiaconato. Tale disputa nel 1841 proseguiva ancora, infatti rifacendosi ad alcuni atti del 1764, il vicario di Crotone chiedeva all’arcivescovo di Catanzaro di interessarsi per la restituzione della torre, che secondo lui apparteneva all’arcidiaconato ed era perciò occupata illegalmente dall’amministrazione dei dazi indiretti. Con atto del 4 giugno 1840, il marchese Francesco Lucifero, figlio di Giuseppe Maria, trasferiva in favore di Nicola Berlingieri, vescovo di Nicastro, “un tomolo di terreno nel promontorio Lacinio nelle vicinanze della Colonna del tempio antico e dei ruderi esistenti ed adiacenti”. Dopo una interruzione ventennale, il vescovo Leonardo Todisco Grande ripristinò nel 1844 la processione settennale. In precedenza, alla fine di giugno del 1839, la chiesa era stata visitata dal canonico Fabrizio Zurlo. Dall’inventario compilato nell’occasione si evince che la chiesa era in buon stato ed oltre all’altare maggiore, vi erano gli altari dedicati a San Giuseppe e a Sant’Anna. Tra gli oggetti vi erano un calice d’argento, quattro banchi, la croce portata dall’Olivadi e sufficienti indumenti, arredi e suppellettili sacre. Una piccola campana batteva sopra la chiesa, ai fianchi della quale erano situate due stanze con una stalla per la comodità dell’eremita. Allora sul “Capo”, secondo la descrizione lasciataci dal Ramage, “non vi era altro che la solitaria colonna … una o due case mal costruite, abitazioni estive di qualche ricco crotonese, ed una torre diroccata. Vi era pure una piccola cappella consacrata al culto della Madonna del Capo”, custodita da un vecchio guardiano. Dopo l’Unità d’Italia, i fondi Nao e Irticello passarono dal Capitolo all’Asse ecclesiastico e quindi in Demanio. Messi all’asta furono aggiudicati nell’aprile 1868 a vil prezzo al barone Luigi Berlingieri, il quale nell’occasione affrancò il canone che era dovuto al Capitolo, che gravava il suolo del casino, che aveva costruito alcuni anni prima a Capocolonna. La chiesa allora era congiunta alla città da una strada comunale che da Crotone arrivava al cimitero, da cui partiva una “strada viciniale” soggetta a servitù pubblica, che si inoltrava lungo la marina per la Conicella di San Leonardo, Marina di Sanda, Sandella, Donato, Erticello, Erto Grande, Tenimento, giungendo al Capo alla cappella della Vergine (1868). Aumentava anche la sensibilità verso i celebri resti: è del 1869 una proposta del consigliere Vatrella, avente per oggetto la manutenzione della colonna a Capo Nao ed una lite accesasi tra il Berlingieri, che reclamava il diritto di proprietà, ed il Ministero dell’Istruzione che affermava il diritto dello Stato sui resti del tempio. La lite si concluse nel 1891 col riconoscimento che gli avanzi del tempio erano Demanio Pubblico. Sul finire del secolo il piccolo e “basso tempietto” fu dapprima arricchito da un altare in marmo, fatto erigere da Gabriellina Berlingieri vedova Albani (1882), ed in seguito a sue spese, il nobile Anselmo Berlingieri fece restaurare ed ampliare l’edificio (1897). Iniziava la costruzione della strada comunale Crotone - Capo Colonna. Approvata dal consiglio Comunale il 20 marzo 1890, il primo tronco da Poggioreale a vignale Donno Cesare, prendeva il via nello stesso anno. Di notte il nuovo faro, entrato in funzione nel 1872, rischiarava il Capo con i suoi edifici, tra i quali le sei case che vi si trovavano e che appartenevano al barone Berlingieri, al cav. Filippo Eugenio Albani e a Cesare Albani, a Pasquale Messina, ai fratelli Scicchitani, ai fratelli Morace ed a Riccardo e Nicola Sculco (Capo Colonna: la chiesa di Santa Maria ed i “casini di villeggiatura” di Andrea Pesavento https://www.archiviostoricocrotone.it/chiese-e-castelli/capo-colonna-la-chiesa-di-santa-maria-ed-i-casini-di-villeggiatura/)
- TIPOLOGIA SCHEDA Modulo informativo
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente religioso cattolico
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 18-ICCD_MODI_8439025467371
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
- ENTE SCHEDATORE Pontificia Facoltà Teologica "Marianum"
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DOCUMENTAZIONE ALLEGATA
documentazione fotografica integrativa (1)
documentazione fotografica integrativa (2)
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0
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