Sarcofago "Grande Ludovisi" (sarcofago/ a cassa parallelepipeda)
Fronte: grandiosa scena di combattimento. Domina al centro un cavaliere con testa ritratto e croce-sigillo sulla fronte; dietro la testa un serpente. La composizione si può dividere in tre registri; superiore con i Romani vittoriosi; centrale con il combattimento in atto; inferiore con i barbari vinti, caduti a terra. I barbari sono a torso nudo, oppure hanno vesti con maniche, brache orientali, berretti frigi. Fianco sinistro: al centro in alto, cavaliere romano che incalza su un barbaro; soldati con trofeo e insegne. In basso: soldato romano atterra un nemico. Fianco destro: cavaliere romano vittorioso su tre barbari. Si tratta del celebre sarcofago con battaglia fra Romani e barbari, rinvenuto nel 1621 nella Vigna Bernusconi davanti a Porta S. Lorenzo, aquistato dal cardinal Ludovisi per 120 scudi e conservato nel giardino della villa sotto un’edicola sorretta da quattro colonne di granito grigio fino al 1690, allorchè fu trasferito nel Museo Ludovisi; poi nel 1901 passò nel Museo delle Terme con la cessione allo Stato italiano dell’intera collezione di antichità. Capolavoro in senso assoluto, ricavato da un enorme blocco intero di marmo, il sarcofago suscitò sempre delle grosse discussioni fra gli studiosi (fin dalle prime edizioni di opere antiquarie) relativamente alla sua datazione, quasi sempre connessa con l’identificazione del ritratto del personaggio a cavallo che occupa il centro della parte superiore della fronte, in posizione di evidenza rispetto a tutte le altre figure che affollano la superficie senza lasciar sorgere il fondo. La prima ad impostare la sua ricerca non solo su dati statistici, come in tutta o quasi la precedente letteratura, ma con precisi riferimenti ad elementi antiquari o storico-iconografici è stata la von Heintze (in bibl.), che, nell’ambito di uno studio sui ritratti romani del III sec. d.C., ha voluto identificare il personaggio principale sul sarcofago, così giovane eppure così fortemente caratterizzato, almeno sul piano simbolico, con Ostiliano, figlio cadetto di Decio, morto di peste nel 252. Il confronto con alcuni tipi monetali e con due ritratti già ricordati dal Rodenwaldt, accomunati dalla ben nota croce-sigillo (sphragis) sulla fronte, di tradizione mitriaca, ha consentito alla von Heintze di elaborare una complessa teoria circa la ideologia che starebbe alla base del sarcofago e che accomunerebbe il giovane e sfortunato rampollo imperiale allo stesso dio-salvatore del genere umano, portatore di luce e di ordine nel tumulto della vita, di cui risulta miles, invictus e insuperabilis, avviato all’eternità e quindi garante dell’aeternitas imperii. Questa figura, che domina su tutte ma che in effetti non sembra partecipare all’azione, appare inoltre circondata da una serie di cavalieri che costituiscono quasi una novità nei sarcofagi con battaglia, ma trovano spiegazione nella costituzione ufficiale proprio in quegli anni del corpo del c.d. protectores, particolare già illustrato dall’Alföldi, ma che qui risulta evidenziato al massimo anche perché riferito all’autorità di Decio. Quanto ai barbari, si tratterebbe di Goti, o meglio di quelle popolazioni stanziatesi a partire dal terzo decennio del III sec. nel basso Danubio e nel Ponto, e che avevano assorbito usi e costumi di genti diverse, donde la loro presentazione con brache orientali, berretti frigi e altri elementi che non consentono una identificazione più precisa, o mostrano nel contempo come anche per i Romani esistesse una certa confusione circa la loro stessa definizione. Per quanto riguarda infine la composizione generale, la von Heintze sembra rifiutare la definizione di “barocca” proposta da Rodenwaldt e preferisce piuttosto vedere non senza qualche forzatura ed esagerazione una sorta di “forma trascendente” ispirata dalla religiosità mitriaca e da elementi simbolici da questa derivati. In tal senso si spiegherebbe ad es. la singolare presenza, dietro la testa del giovane condottiero, di un serpente disposto orizzontalmente sotto il listello di coronamento della cassa: l’animale, nel culto mitriaco, simboleggiava appunto la terra e quindi potrebbe stabilire un particolare riferimento col defunto qui rappresentato. In contrasto con la von Heintze, Gullini (in bibl.) propose di vedere invece nel protagonista del sarcofago Ludovisi il fratello di Ostiliano, Erennio Etrusco, al quale meglio si adatterebbe la scena qui rappresentata, essendo morto nella battaglia di Abritto contro i Goti nel 251. Il fatto che resti incerto se il suo corpo fu portato o meno a Roma, non inficia la destinazione del pezzo, eventualmente sfruttato come cenotafio, oppure usato anche dalla madre del giovane, Erennia Etruscilla, come farebbe pensare la presenza del ritratto femminile sul coperchio di Mainz, se esso fosse realmente pertinente alla cassa in questione (così anche la von Heintze). Inoltre il Gullini riprende ed amplia certe premesse già delineate nel volume dell’Andreae sui sarcofagi con scene di battaglia di pochi anni prima (v. in bibl.: Schlachtsarkophagen), circa la loro derivazione da prototipi pittorici medio-ellenistici (da attribuire a Phyromachos) da un punto di vista compositivo, nel gusto disegnativo di certi particolari, nel valore dato agli scorci. Questi ultimi difatti, all’originario significato prospettico-illusionistico, ne sostituiscono uno diverso, e che trae origine da quella visione dissociata dei volumi dominante nello espressionismo scultoreo della metà del III sec., e qui risolto nella tensione delle superfici animate da un morbido chiaroscuro che ne esalta l’effetto drammatico generale. Se il contrasto fra l’eredità ellenistica e gli stimoli offerti dalla cultura artistica contemporanea costituisce dunque già un motivo di interesse per questo sarcofago, anche la scelta di un tema senz’altro complesso e la realizzazione di esso in termini nuovi, emotivamente sentiti e riproposti con la geniale abilità di un grande artista, capace di travalicare anche le esperienza del proprio tempo, forniscono innumerevoli spunti di indagine allo studioso, che da ultimo giunge anche a proporre una seriazione cronologica fra alcuni dei più importanti sarcofagi di età gallienica, ponendo al primo posto, intorno agli anni 245-250, quello di Balbino, indi il Ludovisi (circa il 252 d.C., sulla base della identificazione con Erennio Etrusco), poi quello di Reims (260), che insieme col precedente attesterebbe il raggiunto e completo sviluppo della bottega artigiana, e infine quello di Plotino, già al Laterano, del 270. Si giunge così al fondamentale lavoro di Andreae (Festschrift von Lucken, 1968, in bibl.), che in taluni punti si ricollega al testo di Pelikàn (in bibl.) sullo stile e la composizione dei sarcofagi, inquadrati nello sviluppo dell’arte del III sec., e in altri discute invece le argomentazioni fornite da Reschke (in bibl.) circa i sarcofagi della tarda età gallienica che si collocherebbero tutti dopo il 260, mentre per quanto riguarda il Ludovisi in particolare sarebbe da escludersi l’identificazione del personaggio principale con Ostiliano. In sostanza, Andreae ha evidenziato le linee principali di composizione che sottendono al rilievo di forma rettangolare sulla fronte del sarcofago Ludovisi e che dovettero servire da traccia al maestro che vi pose mano, senza tuttavia costituire, come vedremo, una limitazione alla sua libertà di artista, ma anzi riuscendo ad essere da lui stesso calorizzate ed innovate secondo uno stile del tutto particolare. Tali direttrici fondamentali, riconosciute e delineate già da Pelikàn in uno schema grafico ideale, sarebbero le tre linee orizzontali che dividono la scena in altrettante fasce, la più alta delle quali contiene i Romani vincitori, con il comandante che costituisce il nucleo spirituale e formale di tutto l’insieme e verso il quale convergono molte direttrici interne; la inferiore comprende i barbari vinti e caduti a terra; quella centrale, con i combattenti ancora in azione, serve a legare le altre due, con lo sbordare di alcune figure oltre i confini. Alle estremità destra e sinistra della fronte, poi, si troverebbero delle verticali che chiudono la composizione. Ma Andreae ha saputo andare oltre questo primo schizzo, applicando il sistema della quadrettatura e triangolatura successiva per diagonali dell’intero spazio quale mezzo più semplice a disposizione dell’artista antico per ripartire la superficie del marmo a mezzo di cordicelle e lavorarvi poi liberamente l’interno. Solo così tutta la scena di lotta acquista un senso e trova la sua unità compositiva, essendo anche le figure poste sui bordi comprese nell’insieme, secondo un criterio diverso da quello che governava i primi esemplari con la battaglia, con personaggi che formavano una sorta di “cornice” verso l’esterno. Qui poi la massa dei barbari, posta nella metà inferiore del rilievo e caratterizzata da torsi nudi e vesti dalle lunghe maniche e brache, si leva con un moto ondulatorio verso l’alto, percepibile nelle teste più o meno sovrapposte e sollevate, contro la schiera incombente dei Romani loricati ed elmati, come un’onda frastagliata che tuttavia non giunge mai a toccare il comandante, a cavallo ma quasi trasvolante in una dimensione propria, che raccoglie tutte le tensioni e le spinte delle altre figure, dirette verso l’alto, fuori dalla mischia, ma ancora fisicamente dentro di essa. Corrispondenze sistematiche, ma non ripetitive, tra alcune figure sulle due metà destra e sinistra del rilievo confermano inoltre l’impressione di una composizione centralizzata, che al realismo di tradizione tutta romana riscontrabile nelle diverse immagini di lotta tra barbari e soldati (alcune delle quali riferite dall’Andreae a precisi duelli storici con i comandanti nemici), unisce tuttavia anche temi di carattere altamente simbolico, preludio al tardo-antico, come ad es. i personaggi che recano trofei o che suonano corni e tube, allusivi del trionfo finale. Questo modo di comporre, apparentemente semplice se ben interpretato nei suoi mezzi tecnici, ma nel contempo estremamente sapiente nel superare i limiti da essi presentati, ed escogitare pertanto soluzioni sempre più sottili, mostra chiaramente che ci troviamo in un’epoca di trapasso per la scultura romana, fra il c.d. neo-plasticismo venato di inquietudini dei Cordiani e di Decio, e il simbolismo lineare che si sviluppa a partire da Gallieno e che porterà in seguito, con la Tetrarchia e oltre, tramite un progressivo irrigidirsi e stilizzarsi delle forme espressive, allo stile tardo-antico vero e proprio. L’aumento delle dimensioni (generali della cassa e particolari nelle singole figure scolpite su di essa), il consapevole ordinamento che sottende all’organizzazione della scena, l’appiattirsi generale del rilievo, concepito in maniera disegnativa, con un effetto “a tappeto” dell’insieme, dove i corpi hanno una plasticità quasi illusoria, e assumono forme ondeggianti, scavate dal di sotto con notevole virtuosismo ma costrette alla perdita del loro volume originario di tradizione classica, la deformazione dei tratti somatici di alcuni personaggi, soprattutto barbari, ottenuta in parte forzando oltre misura le forme e in parte facendo agire su di esse la luce con sapienti effetti chiaroscurali, allo scopo di ottenere una maggiore espressività, sono tutte componenti dello stile di questo ineguagliabile maestro dell’arte romana, rimasto senza nome, ma che ha saputo lasciarci un capolavoro fuori da ogni possibilità di paragone con altri pezzi di simile levatura. Quanto ai lati corti della cassa, in generale meno soggetti a disamine e critiche da parte degli studiosi, si deve inoltre registrare la recente osservazione di Andreae (in Helbig, cfr. bibl.) che sottolinea la esemplificazione su di essi di quella nuova concezione dello spazio portata avanti da tale maestro, ma che risulta, se vogliamo, ancora abbastanza latente. Se in Andreae la questione dell’identificazione del comandante con Ostilliano sembra appena sfiorata e risolta quasi più in senso dubitativo che realmente negativo, essendo l’interesse dello studioso rivolto a una problematica lievemente diversa, per molti altri critici invece è rimasta di primaria importanza, e ha provocato pertanto l’accoglimento dell’ipotesi formulata delle von Heintz anche in margine a studi non necessariamente incentrati soltanto sul sarcofago Ludovisi. Fra essi ad es. è la Bergmann (in bibl.), che nel 1977 compiendo una ricerca sui ritratti romani del III sec., inserì anche quello del nostro condottiero in età gallienica e, pur senza prendere posizione in merito alla sua identificazione, ne individuò altre due repliche – oltre quelle già note di Aschaffenburg e dei Capitolini – dello stesso periodo, conservate l’una nei magazzini del Museo del Louvre (Clarac, 6, tav. 1083 n. 330) e l’altra nella collezione Zeri a Mentana (Bergmann, in bibl., tav 17, 5.6). Ma quello che più è sembrato contrastare la von Heintze è K. Fittschen (in bibl.): già nel 1969 e poi ancora nel 1971, egli escluse il confronto con gli esemplari monetali e a tutto tondo dalla studiosa portati a suffragio della sua tesi, e in un articolo del 1979 ha finalmente raccolto ed illustrato in maniera sistematica tutte le motivazioni e gli argomenti che lo hanno portato a dissentire su tale questione. A suo parere infatti, la barba a sottili scalfiture che incornicia il volto del giovane protagonista del sarcofago sembra senz’altro escludere (insieme ad altri dettagli fisiognomici di minore importanza) l’identificazione con ambedue i figli di Decio, che non sarebbero mai stati rappresentati barbati nell’iconografia ufficiale. Inoltre il ritratto del condottiero si avvicina indubbiamente, per motivi stilistici e iconologici, al tipo di Gallieno creato intorno al 260 (si cfr. il bell’esemplare nel Museo delle Terme: Mus. Naz. Roma. I,1, n. 181: S.A. Dayan, con bibl. preced.), e dovette con tutta probabilità essersi ad esso ispirato, come era d’uso nella ritrattistica privata dell’epoca. Interessante poi l’accento alla questione posta dal coperchio di Mainz, sempre che sia pertinente alla cassa nel Museo Nazionale Romano per il busto femminile che pare difficile ricollegare idealmente e cronologicamente con il protagonista anche per il suo trovarsi isolato sull’alzata, senza collegamento con le altre scene: esso, secondo Fittschen, raffigurerebbe verosimilmente – ma per motivi nient’affatto chiari – la madre o la nonna del giovane che fu deposto nel sarcofago, diversi anni dopo la morte di lei, ma non avrebbe nulla a che fare con Erennia Etruscilla, che portava fra l’altro una acconciatura del tutto diversa. La critica moderna sull’esemplare Ludovisi (in bibl.: Schfer, 1979; Koch-Sichtermann, 1982) sembra dunque essersi fermata a questo punto, con la chiara visione dei principi compositivi e stilistici fondamentali del pezzo, da riferire senz’altro ad un maestro tra i maggiori nella produzione dei sarcofagi romani e forse il più grande fra gli scultori della tarda antichità, ma nell’incertezza dell’attribuzione definitiva ad un imperatore del pieno III sec., e ad un privato che tuttavia dovette rivestire una carica di una certa importanza nell’ambito delle campagne condotte in quell’epoca contro gli Ostrogoti, ai confini nord-orientali dell’impero. Nulla di nuovo o di particolarmente significativo emerge infatti dalla letteratura più recente degli anni ’80, anche se forse ulteriore passo avanti potrebbe essere fatto nella direzione già indicata dallo Jung (in bibl.), relativamente ai problemi posti dalle diverse officine di sarcofagi del III sec. e ancora non del tutto definiti o indagati a fondo. Secondo l’ipotesi di Jung il Ludovisi risulterebbe a tutt’oggi inserito nella tarda produzione di un atelier attivo all’incirca fra 230 e 270 d.C
- OGGETTO sarcofago/ a cassa parallelepipeda
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MISURE
Profondità: 150 cm
Altezza: 155 cm
Spessore: 18 cm
Larghezza: 273 cm
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CLASSIFICAZIONE
ARREDI/ ARREDI FUNERARI/ SARCOFAGI
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo Mattei di Giove
- INDIRIZZO Via Michelangelo Caetani, 32, Roma (RM)
- TIPOLOGIA SCHEDA Reperti archeologici
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1200134258
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Museo Nazionale Romano
- ENTE SCHEDATORE Museo Nazionale Romano-Palazzo Altemps
- DATA DI COMPILAZIONE 1977
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0