Le terrecotte di Bartolomeo Pinelli (1781-1835)
Il Museo di Roma a palazzo Braschi possiede uno dei maggiori nuclei di opere di Bartolomeo Pinelli, il "pittore de Trestevere" ricordato in un sonetto di Giuseppe Belli scritto il 9 aprile 1835 a pochi giorni dalla morte di questo grande e singolare artista romano attivo nei primi decenni dell'Ottocento, che riuscì ad animare (a modo suo) quel momento di delicato passaggio tra la fine dell'esausto Neoclassicismo e gli echi della nuova sensibilità romantica. In realtà il suo talento vario e poliedrico si espresse soprattutto nell'attività di incisore e di illustratore, lasciandoci un patrimonio di circa quattromila incisioni e diecimila disegni, disseminati in varie istituzioni e collezioni private nel mondo. Qui si vuole affrontare un altro filone della sua produzione estremamente prolifica, rappresentato dal gruppo di circa venti statuette in terracotta modellate da Pinelli negl ultimi anni della sua vita dove ripropose i temi esplorati nelle sue incisioni: la vita violenta e avventurosa dei briganti, le maschere carnevalesche e l'idillio pastorale.
Catalogo Generale dei Beni Culturali
Bartolomeo Pinelli, La morra. figura di uomo che segna il tre con le dita, 1834, terracotta, 16x42x46 cm, Museo di Roma, 1200709830A
dal Catalogo
Ma chi era Bartolomeo Pinelli, questo personaggio eccentrico poco ricordato dalla storia? Innanzitutto era un artista dotato di raro talento e innamorato della sua Roma, classica e popolare, papalina e profano a un tempo, dove nacque il 10 novembre del 1781 nel rione di Trastevere in un edificio non più esistente. Un legame così profondo che "soleva dire che se avesse passato il ponte Molle sarebbe stato colto da forte malinconia e sarebbesi sentito mancare il respiro". La sua formazione artistica iniziò nel solco della scultura dal momento che il padre, "mediocre scultore" che si guadagnava da vivere scolpendo piccole icone sacre, nel 1792 si trasferì con il figlioletto di dieci anni a Bologna, città povera di marmo ma che da sempre coltivò un'importante scuola di ceramisti e stuccatori (valga per tutti il celeberrimo Compianto di Niccolò dell'Arca in Santa Maria della Vita). Qui Bartolomeo ricevette una prima formazione artistica all'Accademia di Belle Arti di Bologna proseguendo poi all'Accedemia di San Luca a Roma, dove tornò in pianta stabile alla fine del secolo. I professori si accorsero del suo talento precoce e gli conferirono a più riprese premi e riconoscimenti dal 1798 al 1809, il primo dei quali proprio per un tondo a rilievo di tema storico.
Con il suo stile incisivo, caratterizzato dalla forza del segno grafico e da un modellato pieno derivante dallo studio dei classici, esplorerà tutti i generi, dalla storia antica e letteraria alle vedute della città e dei Sette Colli, spesso in collaborazione con altri artisti italiani e stranieri, mostrando una praticolare predilezione per il genere popolare, allora molto in voga, descrivendo gli usi e costumi dei romani con una vivacità e una dignità che hanno pochi paragoni nell'arte. I suoi soggetti preferiti furono le persone semplici, falegnami, mulattieri, lavandaie e contadine con i loro bambini sempre al seguito, uomini e donne che brulicavano per le strade di Trastevere nell'anonimato e di cui egli fissò un'iconografia quasi idealizzata; nei suoi disegni e nelle sue incisioni cogliamo infatti nel popolo romano una forza d'animo e una bonaria allegria in cui probabilmente l'artista si riconosceva, nonostante la frequentazione in parallelo delle accademie e dei salotti aristocratici della Roma bene, dove aveva stretto rapporti con altri artisti come Canova e Bertel Thorvaldsen.
La sua ricerca sulle tematiche pittoresche ebbe inizio nel 1806 con un primo gruppo di acquarelli e i lavori ad incisione "Raccolta di Cinquanta costumi pittoreschi" del 1809, incontrando peraltro il gusto commerciale del pubblico. Nelle cronache illustrate dei mestieri, degli usi e delle feste cui il popolo romano partecipava con maggior entusiasmo, un posto d'onore è occupato dal Carnevale, che troviamo raffigurato in numerosi dipinti, incisioni ed acquarelli che riproducono l'eccentrica folla delle maschere tipiche come Pulcinella, Arlecchino, la bella Giardiniera e l'immancabile Meo Patacca, il protagonista del poema eroicomico romanesco di Giuseppe Berneri che egli illustrò nel 1823. Una singola impresa del più vasto e ambizioso lavoro di Pinelli come illustratore dei grandi testi della letteratura italiana, seguendo una diffusa inclinazione per la riscoperta della storia e della cultura nazionale: tra il 1825 e il 1826 pubblicò per l'editore Scudellari i rami dei cantici della Divina Commedia, di recente oggetto di una mostra a Castel Sant'Angelo ("Bartolomeo Pinelli. Visioni Dantesche", 2022), ma dobbiamo annoverare anche le incisioni per l'Orlando Furioso (1829), per la Gerusalemme liberata (1827) e per i Promessi Sposi (1832).
Tra i pochi dipinti ad olio riconducibili all'artista il Museo di Roma conversa La mossa dei barberi, la tradizionale corsa dei cavalli di origine berbera da Porta del Popolo a Piazza Venezia che si svolgeva tutte le sere durante la settimana del Carnevale romano (1821 ca), e il più enigmatico Saltarello notturno delle mozzatore (1821 ca) ballato dalle vendemmiatrici di ritorno dai campi in una spettrale piazza Barberini illuminata dalla luna piena e dai bagliori delle fiaccole degli astanti, a metà tra scena popolare e dionisiaca.
La sua produzione di piccole sculture in terracotta risale agli anni Trenta del secolo ma l'artista gli conferì un posto d'onore se pensiamo che, un anno prima di morire, diede alle stampe il catalogo dal titolo "Gruppi pittoreschi modellati in terracotta da B.P. ed incisi all'acquaforte da lui medesimo" (1834), una chiara rivendicazione anche del suo mestiere di scultore. Tra i suoi ammiratori ebbe l'onore di annoverare il grande scultore classicista Bertel Thorvaldsen, appassionato collezionista dei suoi disegni (oggi al museo di Copenaghen a lui intitolato) e destinatario di un autoritratto di Bartolomeo nell'atto di modellare.
Le schede di catalogo qui riprodotte ci illustrano uno dei suoi soggetti preferiti, i briganti che all'epoca dilagavano nella campagna romana dando numerosi problemi all'amministrazione sia francese che pontificia. Al tema aveva già dedicato numerose incisioni dal 1812 con "La fucilazione del brigante Spadolino alla Bocca della Verità", per poi proseguire con "Venticinque soggetti di briganti" (1822) per il conte russo Gouriev e la cronaca illustrata dal titolo "Raccolta de'fatti li più interessanti eseguiti dal capo brigante Massaroni per la strada che da Roma conduce a Napoli" (1823). Come era solito fare con tutti i soggetti popolari, anche nelle sue sculture Pinelli conferisce forme fiere e classiche ai suoi contrabbandieri, uomini forti e vigorosi abbigliati con il tipico cappello di cuoio a falde alte da cui sporgono folti capelli e zazzere, e il manto rosso annodato al petto. Quando serve essi non mostrano la minima esitazione ad imbracciare il fucile ma, allo stesso tempo, l'artista ce li mostra protettivi e legati alle loro mogli, spesso al seguito con il bambino in braccio, donne ritratte talvolta con arie dolci e sommesse, altre volte più risolute e complici delle imprese familiari. Gli stessi tipi umani dei briganti riappaiono nel gruppo molto riuscito dei giocatori di Morra, un gioco d'azzardo diffusissimo nelle osterie e nelle piazze cittadine e immortalato da altri pittori contemporanei; Pinelli lo affronta con serietà in questa composizione molto bilanciata dove i due giocatori indicano i numeri con gesti risoluti ed espressività grave nei visi come nelle plastiche pose. Questo gioco, che consisteva nell'indovinare prima degli altri la somma dei numeri indicati con le dita dai partecipanti, era assai scoraggiato dal papa perchè ritenuto violento e diseducativo per il popolo romano a causa del suo sfociare spesso e volentieri in rissa (si veda il gruppo La rissa).
L'artista tradisce il suo attaccamento alla classicità romana nelle pose, nelle citazioni puntuali (come la testa tratta dall'Ercole Farnese) ma anche nelle ambientazioni, addossando spesso e volentieri i suoi giocatori di osteria e le sue graziose contadine a rocchi di colonne e cornicioni di templi antichi. La sua vastissima produzione di incisioni a tema storico e mitologico, di cui ricordiamo almeno la "Istoria Romana" (1819) e la "Istoria degli imperatori" (1829), prende corpo invece nella terracotta di notevoli dimensioni Achille che trascina il corpo di Ettore (1833); l'artista qui si rivela pienamente all'altezza di trattare anche soggetti elevati in questo gruppo monumentale in azione, dove notiamo il gran dinamismo dei bellissimi cavalli calcitranti che si diffonde ai panneggi e ai pennacchi dell'elmo di Achille, statuaria figura di vendicatore impassibile al pare dell'Ercole canoviano, a cui fa da contraltare il corpo nudo e anatomicamente studiato di Ettore, con un'espressione di dolore trattenuto che porta il ricordo delle sue pungenti fisionomie di briganti.
Oltre ad essere un instancabile disegnatore ed incisore, il nostro artista era un altrettanto instancabile scialacquatore e bevitore e si spense il 1 aprile del 1835 pare, come scrisse Belli, "pe ccausa d'un bucale".
Dopo questo breve approfondimento sul "pittore de Trastevere"- che immaginiamo seduto su un tavolino all'osteria del Gabbione con i suoi fidati mastini e il suo taccuino degli schizzi, intento ad osservare le mosse del verace popolo romano - forse ci dirà qualcosa in più il busto bronzeo con le sue effigi fatto erigere nel secolo scorso sul punto di Viale Trastevere in cui sorgeva la sua abitazione, vicino Piazza Mastai e a pochi passi dalla statua del suo più celebre collega, il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli.
Catalogo Generale dei Beni Culturali
Foto Giandean, Autoritratto ("Riposo dell'Autore"), 1970-1986 ca, positivo, 180x240 mm, 1500819300
Fondo GFN, Archivi Fotografici ICCD
Fotografo non identificato, Il ritorno delle mozzadore di notte, gelatina ai sali d'argento, E50071