Archivio di Stato di Napoli
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DESCRIZIONE
Chiostro di
marmo (o dei marmi)
Frutto dell’espansione del monastero benedettino verso est, il Chiostro di
marmo, detto anche Atrio quarto, fu costruito alla fine del XVI secolo e
restaurato nel XVIII, come recita l’iscrizione latina collocata sul portale
marmoreo di ingresso al vestibolo del Refettorio. Di forma quadrata, costruito
in marmo proveniente da Carrara, il Chiostro è scandito da arcate a tutto
sesto, sostenute da colonne di ordine dorico poggianti su un alto basamento. Al centro del giardino fu collocata la statua dello scultore toscano
Michelangelo Naccherino raffigurante la Teologia, realizzata all’inizio del
Seicento: l’opera, prelevata dal deposito del Museo Borbonico (l’attuale Museo
Archeologico Nazionale di Napoli) faceva parte di un gruppo di quattro statue
poste in nicchie sulla facciata del Museo, quando era ancora Palazzo degli
Studi.
Chiostro del
Platano
Di forma quadrata, coperto con volte a
crociera, il Chiostro originariamente era aperto, scandito da colonne,
sostituite poi dagli attuali pilastri in piperno, dalla singolare forma a
candelabro. Anche il piano superiore era aperto in forma di loggiato, con
copertura a tetto, secondo uno schema tipico dei chiostri quattrocenteschi
toscani: maestranze toscane e lombarde, infatti, si avvicendarono nei lavori
tra il 1450 ed il 1463, come è raccontato nel libro dei “Cunti del Monastero”. Al centro del giardino si erge il maestoso
platano della specie orientale, da cui il chiostro prende nome, unico superstite
del boschetto di platani che – si racconta - Anicio Equizio, padre di San
Mauro, donò ai monaci benedettini. Secondo una leggenda il platano fu piantato
da San Benedetto, che attribuì alle foglie poteri medicamentosi. Su due lati del Chiostro Antonio Solario detto
lo Zingaro, pittore di scuola veneta, con la sua bottega realizzò, tra la fine
del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, un ciclo di affreschi sulla vita
di San Benedetto, ripercorrendo fedelmente il racconto scritto da Gregorio
Magno nel II libro dei suoi Dialoghi.
Sala dei
Catasti
La Sala del Capitolo del monastero benedettino,
attualmente denominata Sala dei Catasti, fu realizzata tra la fine del XVI e
gli inizi del XVII secolo nell’ambito del piano di ampliamento della fabbrica
del complesso monastico. La volta a padiglione fu abbellita sin dal 1608 da un
ciclo di affreschi di Belisario Corenzio. Le scene dipinte dovevano assolvere
alla funzione di illustrare ai monaci i principi e i precetti della regula benedettina, attraverso un
complesso impianto iconografico basato sull’alternarsi di figure allegoriche,
scene evangeliche e di angeli con gli strumenti della Passione. Secondo
l’Iconografia di Cesare Ripa, in queste figure - tutte femminili, tranne la
prima - si possono riconoscere, nell’ordine: lo Zelo della religione, la Mansuetudine,
l’Ordine, la Confidenza, la Provvidenza,
la Fermezza d’amore, la Fecondità, la Pudicizia, la Carità. Al
centro della volta Corenzio si cimentò nella trasposizione di episodi
evangelici: la Donna adultera, la Guarigione del paralitico, la Parabola dei ciechi e della festuca e la
Parabola del buon samaritano, divisa
in due scene.
Sala Filangieri
La grande sala che fu Refettorio del monastero
dei Santi Severino e Sossio, dalle misure imponenti, svolse questa funzione nei
secoli in cui il complesso benedettino fu popolato da una numerosa comunità di
religiosi. Nella prima metà del XVII secolo fu abbellita
da un affresco di Belisario Corenzio. Il dipinto, di grandi dimensioni, conta
ben 117 figure e si divide in due parti: nella zona superiore, il pittore
raffigura l’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci,
mentre nella zona sottostante realizza una grande scena corale, con al centro
San Benedetto nell’atto di distribuire il pane agli ordini maschili e femminili,
ai nobili e al popolo, evidente allusione al “miracolo” operato dal santo nel
moltiplicare la comunità benedettina. Tra i vari rappresentanti degli ordini religiosi maschili
e femminili, si intravede, infatti, la figura di un cavaliere che presenta
forti somiglianze col conte di Monterey, viceré dal 1631 al 1637. Con il progressivo allontanamento dei monaci
dall’edificio e con la nuova destinazione d’uso, il salone fu destinato prima a
sala dell’abbigliamento militare del Collegio di Marina, poi, nel 1838, grazie
alle insistenze di Ercole Lauria e del soprintendente generale del Grande
Archivio, il vasto ambiente e l’intero complesso furono destinati ad ospitare
le carte trasferite da Castelcapuano.
Sala di Casa Reale
Questa grande sala, contiene un
importantissimo archivio, che inizia dal 1734 con la venuta di Carlo di Borbone
nel Regno, e termina nel 1860 con la caduta della dinastia reale: l’archivio di
Casa Reale. Un primo gruppo di scritture, quelle
dell'antica Segreteria di Casa Reale, comprendente 1535 fasci di carteggi fino
all’occupazione francese del Regno, furono versate nell'Archivio di Stato di
Napoli fin dal 1863. Nel 1920, passati i palazzi reali al
Demanio dello Stato, Vittorio Emanuele III dispose che tutto ciò che vi era
dell'archivio Borbonico nella Reggia fosse ugualmente inviato all'Archivio di
Stato. Questo cospicuo archivio, ricco di oltre
35 mila numeri archivistici, conteneva volumi e fasci di carteggi dei sovrani e
dei principi, carte politiche ed amministrative. Tutte queste carte furono nel 1935
sistemate in un grande salone di 14 metri per 38 di pianta.
dal catalogo
DOVE SI TROVA
indirizzo Piazzetta del Grande Archivio 5 , Napoli (NA), Campania
orari di apertura Lunedì (08:00,18:30)|Martedì (08:00,18:30)|Mercoledì (08:00,18:30)|Giovedì (08:00,18:30)|Venerdì (08:00,18:30)|Sabato (08:00,14:00)
prenotazione Ingresso libero
contatti +39 081 5638111